Intervista a Valentina Terlato
𝗩𝗮𝗹𝗲𝗻𝘁𝗶𝗻𝗮 𝗧𝗲𝗿𝗹𝗮𝘁𝗼
𝑎 𝑐𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑛𝑖 𝐹𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑖
• 𝐋𝐚 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐝𝐨𝐦𝐚𝐧𝐝𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐟𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐞̀ 𝐥𝐚 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐟𝐞𝐜𝐞 𝐆𝐮𝐢𝐝𝐨 𝐑𝐞𝐲 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐬𝐚𝐥𝐢̀ 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐌𝐚𝐫𝐦𝐨𝐥𝐚𝐝𝐚:
“𝐐𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐢𝐨 𝐨 𝐜𝐚𝐩𝐫𝐢𝐜𝐜𝐢𝐨 𝐡𝐚 𝐬𝐩𝐢𝐧𝐭𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐟𝐚𝐧𝐜𝐢𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐚 𝐚𝐝 𝐮𝐧’ 𝐚𝐯𝐯𝐞𝐧𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐫𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐟𝐨𝐫𝐳𝐞?”
– Come ha specificato Giulia Massini, nella sua prefazione al mio libro, la “fanciulla” a cui si riferisce Guido Rey riuscì ad arrivare in vetta come tutti gli altri della cordata. Quanto a me, che da tempo non sono più una fanciulla, quello che mi ha sempre spinto verso la montagna è la passione per quei magici orizzonti verticali che lasciano prefigurare vastità sconosciute, come l’ermo colle leopardiano.
Ne “La libertà di andare dove voglio” Reinhold Messner scrive che gli spazi di natura incontaminata, i deserti e le montagne costituiscono dei catalizzatori per la nostra umanità, perchè ci aiutano a scoprire le nostre potenzialità e i nostri limiti umani. La natura incontaminata è infatti lo specchio migliore in cui ritrovare noi stessi e la nostra identità.
Questo la montagna è stata e continua ad essere per me.
Purtroppo, in 50 anni di escursioni e di scalate su rocce e su ghiacciai, ho anche assistito allo scempio compiuto, e in corso d’opera, per aprire nuovi trafori, costruire nuovi impianti turistici o cementificare sentieri, per permettere l’accesso automobilistico ai rifugi in quota, che così cessano di essere rifugi e si trasformano in alberghi di lusso.
Dunque non era un’impresa “tanto superiore alle sue forze”.
• 𝐏𝐮𝐨̀ 𝐬𝐩𝐢𝐞𝐠𝐚𝐫𝐜𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐩𝐚𝐫𝐚𝐠𝐨𝐧𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚 “𝐩𝐨𝐞𝐬𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨”?
– Non credo di aver fatto paragoni di questo genere. E’ sempre Guido Rey, citato da Massini, che immaginava che la “fanciulla” della cordata fosse spaventata dalla “sublime poesia del pericolo”. A me non interessa il pericolo fine a se stesso. Amo il rischio e senza rischiare si rinuncia a vivere, non soltanto in montagna.
• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐩𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐟𝐢𝐬𝐢𝐜𝐨 𝐦𝐚 𝐮𝐧 𝐥𝐮𝐨𝐠𝐨 𝐢𝐝𝐞𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐢𝐥 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐞̀ 𝐬𝐨𝐬𝐩𝐞𝐬𝐨?
– La montagna è principalmente un luogo fisico, ma è anche, per me, uno spazio mentale di libertà.
Il tempo, in montagna, è reale e surreale. Può succedere che a volte perda la sua dimensione cronometrica, perchè un attimo può dilatarsi e riempirsi di eternità. Altre volte il tempo ti incalza, perchè devi arrivare in cima entro una certa ora, se vuoi scendere in sicurezza. Altre volte ancora la fatica è tale che ogni minuto ti p
• 𝐋𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐞𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚 “𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐫𝐬𝐢 𝐬𝐨𝐥𝐢.” 𝐍𝐨𝐧 𝐥𝐞 𝐬𝐞𝐦𝐛𝐫𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐝𝐝𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞?
– Sì, certo. Sono d’accordo che è una contraddizione, ma non è l’unica della mia vita.
• 𝐈𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐞𝐭𝐚̀ 𝐡𝐚 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐦𝐢𝐧𝐜𝐢𝐚𝐭𝐨 𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐛𝐢𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚?
– Fin da piccola sono stata attratta dalla verticalità e mi arrampicavo sugli alberi. Con la mia famiglia andavo ogni estate al mare. Ho iniziato ad andare in montagna a 18 anni, grazie a un viaggio regalo nella Foresta Nera.
• 𝐍𝐨𝐧 𝐯𝐮𝐨𝐥𝐞 𝐚𝐬𝐬𝐨𝐥𝐮𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚 𝐬𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐫𝐨𝐦𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐥𝐞𝐢 𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚. 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́?
– Diciamo che ho imparato ad apprezzare il piacere di un rapporto esclusivo con la montagna. Durante un’escursione io sento di entrare gradualmente in simbiosi con la natura che mi circonda. Le percezioni si intensificano, il sudore si mescola ai pensieri e si crea una straordinaria unità di mente e corpo. Questo è un po’ difficile da realizzare in compagnia, almeno nella mia esperienza. Comunque, evitando accuratamente i gruppi, godo anch’io del piacere di camminare o arrampicare insieme a qualcuno con cui sto bene. Sono un essere umano in fin dei conti.
• 𝐂𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐢𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐩𝐢𝐚𝐜𝐜𝐢𝐨𝐧𝐨 𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚𝐥𝐢?
– Sì, sono attratta da tutti i confini, perché mi piace scavalcarli.
• 𝐂’𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐮𝐧 𝐦𝐨𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐡𝐚 𝐭𝐞𝐦𝐮𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚?
– Sì, soprattutto da giovane, quando mi avventuravo da sola per le montagne dell’appennino, senza avere neanche una cartina, perchè allora non era facile trovarle. Il più delle volte ho avuto paura di perdermi, perchè i sentieri erano segnati poco o non segnati affatto. Altre volte ho avuto paura di cadere nel vuoto, perdendo un appiglio in parete.
• 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐞̀ 𝐚𝐯𝐯𝐞𝐧𝐮𝐭𝐚 𝐥’𝐢𝐝𝐞𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 “𝐓𝐫𝐚 𝐥𝐞 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐞” 𝐞𝐝𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐚 𝐓𝐚𝐛𝐮𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐭𝐢?
– A un certo punto mi sono resa conto che la montagna ha attraversato tutta la mia vita, così che, parlando di montagna, io posso parlare di tante altre cose. Di qui l’idea di scrivere questi racconti.
• 𝐏𝐞𝐫 𝐚𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚 𝐛𝐢𝐬𝐨𝐠𝐧𝐚 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐫𝐥𝐚 𝐦𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢 𝐟𝐚 𝐚 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚?
– Credo che sia importante imparare a conoscerla, dedicandole il tempo necessario. Capire la montagna significa riconoscere i segnali che ti invia attraverso le nuvole, la direzione del vento, le frane. Significa esporsi al rischio di perdersi, quando non è chiaro da che parte andare. Significa anche fare i conti con i propri limiti e capire quando è il momento di rinunciare e di tornare indietro.
• 𝐈𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐞 𝐁𝐢𝐚𝐧𝐜𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐞𝐢 𝐞̀ 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐝𝐢 𝐮𝐧𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚. 𝐂𝐡𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐞?
– Col Monte Bianco ho avuto un’intensa storia d’amore e per molti anni è stato al centro dei miei pensieri.
• 𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐦𝐚 𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐠𝐥𝐢𝐞𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐞?
– Lei sa che è impossibile dare consigli su come innamorarsi. Non è obbligatorio amare la montagna, ciò che conta è avere un rapporto d’amore con la natura: che siano fiumi, laghi, mari o montagne non ha importanza, purché si rispetti anche ciò che non si ama.
• 𝐐𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐛𝐢𝐬𝐨𝐠𝐧𝐨 𝐜𝐨𝐬𝐢̀ 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐧𝐬𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐧𝐭𝐚𝐠𝐧𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐞 𝐬𝐞𝐦𝐛𝐫𝐚 𝐮𝐧 𝐩𝐨’ 𝐞𝐬𝐚𝐠𝐞𝐫𝐚𝐭𝐨?
– Sinceramente no, perchè per me la montagna è fonte di vita e mi aiuta a vivere anche quando sono in città, perchè so che mi aspetta. Mi aiuta a sopportare le pesantezze della vita di tutti i giorni.
• 𝐐𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐞 𝐥𝐞 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐥’𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐬𝐩𝐢𝐧𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐢𝐥 𝐜𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐒𝐚𝐧𝐭𝐢𝐚𝐠𝐨?
– Avevo voglia di fare un cammino, non l’avevo mai fatto. Mi piaceva l’idea di arrivare a Santiago sulle orme degli antichi pellegrini. Sono stata spinta da un desiderio laico di conoscenza. Strada facendo, però, il cammino mi ha un po’ cambiato.
• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐧𝐨𝐧 𝐡𝐚 𝐦𝐚𝐢 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐥 𝐜𝐚𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨 𝐧𝐞𝐥 𝐛𝐨𝐬𝐜𝐨 𝐞 𝐥’𝐡𝐚 𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐭𝐚 𝐬𝐢𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚?
– Lei si riferisce al cane che in un racconto mi ha accompagnato in una lunga camminata sulla neve. Avevo un po’ paura di questo cane, perchè era enorme e se le cose non gli stavano bene mi aggrediva senza mezzi termini. Mi seguì fino alla porta di casa. Adesso credo che l’avrei fatto entrare, nel racconto non me la sentii, pur provando una gran pena. Non lo accarezzai, per non aumentare lo strazio della separazione.
• 𝐒𝐞 𝐥𝐞 𝐨𝐟𝐟𝐫𝐢𝐬𝐬𝐞𝐫𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐯𝐚𝐜𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐚𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐫𝐢𝐧𝐮𝐧𝐜𝐞𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞?
– Dipende da quale mare.
• 𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚?
– La dedico a lei, che mi ha regalato il suo tempo e la sua attenzione; la dedico a Giulia Massini, che ha scritto la bellissima prefazione del libro, e a Silva Ganzitti, la grande editor di Tabula Fati.