Intervista a Domenico Di Carlo

𝐋’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐞𝐝𝐢̀
𝗗𝗼𝗺𝗲𝗻𝗶𝗰𝗼 𝗗𝗶 𝗖𝗮𝗿𝗹𝗼
𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑛𝑖 𝐹𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑖
• 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐡𝐚 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐨 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐜𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐨 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐧𝐞 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐦𝐨𝐭𝐢𝐯𝐨?
– Il mio cammino politico è iniziato alla fine degli anni 60, con l’impegno prima nell’Azione Cattolica, poi è stato naturale trasferire quell’impegno culturale-religioso anche in quello politico nel movimento giovanile della D.C.
• 𝐐𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐨𝐩𝐞𝐫𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐡𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐬𝐬𝐞𝐬𝐬𝐨𝐫𝐞 𝐚 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚 𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐠𝐥𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐀𝐛𝐫𝐮𝐳𝐳𝐨?
– Al Comune di Pescara mi venne assegnata la delega alle politiche del lavoro, anche per una certa competenza professionale in materia. Diedi l’avvio ai concorsi comunali a causa di una grave carenza in pianta organica del personale, preceduti dai concorsi interni, posto che talune figure professionali da anni, di fatto, svolgevano mansioni superiori e diverse da quelle d’assunzione. Ciò, ovviamente, creava una certa apatia e poca motivazione al lavoro. Istituii la “Consulta per il lavoro” con le forze politiche, sociali e imprenditoriali. L’assunzione di 142 lavoratori o lavoratrici disoccupati in progetti di lavori socialmente utili nel Comune di Pescara. Attuai un piano organico generale per la formazione e la riqualificazione professionale.
In Regione fui il presidente della commissione Statuto e delle riforme istituzionali. Mi occupai della redazione del nuovo Statuto della Regione, con la consulenza del prof. Stelio Mangiameli. Lo Statuto venne approvato in prima lettura il 30 dicembre 2003 e approvato in via definitiva nella consiglienza successiva. Feci parte di un ciclo di audizioni, con il Presidente del Consiglio ed il prof. Mangiameli, presso la Commissione parlamentare per le questioni regionali sugli statuti.
• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐥𝐞𝐢 𝐬𝐢 𝐝𝐞𝐟𝐢𝐧𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐢𝐞𝐯𝐨 𝐝𝐢 𝐆𝐢𝐨𝐫𝐠𝐢𝐨 𝐋𝐚 𝐏𝐢𝐫𝐚?
– Giorgio La Pira fu, innanzitutto, mio professore di istituzioni di diritto romano presso l’Università di giurisprudenza a Firenze. Fu educatore culturale-politico in movimenti dove partecipavo attivamente e fu maestro politico nel movimento giovanile della D. C. di Firenze, dove spesso teneva discorsi, conferenze, convegni, etc. Da studente alloggiavo nel convento dei frati domenicani dove La Pira, terziario domenicano, aveva una stanza nell’aula dei monaci. Per questo lo ho incontrato spesso ed era occasione, oltre gli studi universitari, di scambiare idee, opinioni, riflessioni sull’attualità dei temi del tempo. Lo seguii poi in molte sue iniziative culturali, religiose e politiche.
• 𝐈𝐥 𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐡𝐚 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨, 𝐞𝐝𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐚 𝐒𝐨𝐥𝐟𝐚𝐧𝐞𝐥𝐥𝐢, 𝐜𝐢 𝐟𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞
𝐆𝐢𝐨𝐫𝐠𝐢𝐨 𝐋𝐚 𝐏𝐢𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 “𝐢𝐥 𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐮𝐨𝐦𝐨 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐨” 𝐜𝐡𝐞 𝐨𝐩𝐞𝐫𝐚 𝐞 𝐚𝐠𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐛𝐞𝐧𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚𝐝𝐢𝐧𝐢.𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐥𝐞 𝐞̀ 𝐯𝐞𝐧𝐮𝐭𝐚 𝐥’𝐢𝐝𝐞𝐚 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨?
– Le ragioni del perché ho scritto questo saggio-testimonianza sono molteplici: la prima è naturalmente di una testimonianza per le ragioni già dette; la seconda è legata alla dichiarazione di venerabilità del 5 luglio 2018 ad opera del Santo Padre Francesco e si attende ora il miracolo per la beatificazione ed elevazione agli altari per il culto pubblico ed ecclesiastico; una terza ragione riguarda coloro che hanno omologato tutto il suo pensiero in un canone solo politico, al pari di altri importanti personaggi della storia politica italiana, quando in realtà l’azione politica di La Pira era al contempo politica, religiosa e sociale, in quanto per La Pira la politica era un impegno religioso per servire i fratelli, ricercando il bene comune, testimoniando fedelmente il Vangelo di Cristo; la quarta ragione è che La Pira richiamava spesso il mondo intero a riflettere sul problema della pace, in quanto affermava che, dinanzi al rischio incombente della guerra nucleare, l’intera comunità mondiale avrebbe dovuto mobilitarsi per scuotere le coscienze dei potenti della Terra e salvare il destino dell’uomo e del cosmo. Non c’è nulla di più attuale.
• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐝𝐞𝐟𝐢𝐧𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐋𝐚 𝐏𝐢𝐫𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐩𝐞𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚?
– La speranza è la seconda virtù teologale. La Pira è profeta di speranza perché ispirato da Dio, in quanto svelava nel presente gli accadimenti futuri, pur anche drammatici. Incoraggia i fratelli ad essere veri cristiani: l’aiuto di Cristo salvatore non mancherà.
• 𝐂𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐨𝐠𝐠𝐢 𝐮𝐨𝐦𝐢𝐧𝐢 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐢 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐭𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐩𝐞𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐨𝐠𝐠𝐢?
– Credo proprio di no! La politica di oggi è retorica, è apparenza, e per certi versi è ipocrisia. Il Santo padre Francesco nell’impegno quotidiano si erge a difesa dell’uomo, del creato e dell’ambiente. Come La Pira, profetizza il futuro destino dell’umanità: o la distruzione del pianeta e del genere umano o la pace la fraternità fra i popoli.
• 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐯𝐚 𝐭𝐫𝐚 𝐋𝐚 𝐏𝐢𝐫𝐚 𝐞 𝐌𝐚𝐭𝐭𝐞𝐢?
– L’amicizia tra La Pira e Mattei nasce nell’ottobre del 1940, quando un gruppo di intellettuali ed accademici dell’Università cattolica del Sacro cuore di Milano si ritrova in cenacoli segreti per prendere posizione sui temi della guerra, della pace, della crisi economica e sociale. Marcello Boldrini docente di politica economica all’Università Cattolica si fece interprete di quelle iniziative che si svolgevano a casa di Enrico Mattei. L’attività antifascista si svolse a casa Mattei dall’ottobre del 1940 all’estate del 1942, successivamente si spostò a casa del prof Umberto Padovani fino all’ottobre del 1943. Gli incontri avevano i caratteri di una vera cospirazione politica antifascista, cui partecipavano diversi docenti dell’Università tra cui Boldrini, Fanfani, Vanoni, Donati, Lazzati, Padovani, Orio Giacchi, Sofia Vanni Rovighi, Mentasti, Augusto De Gasperi e Giorgio La Pira e l’industriale Enrico Falck. Durante il periodo della Resistenza gli incontri tra Mattei e La Pira sono rari per ragioni oggettive: su La Pira pendeva un mandato di arresto dal tribunale speciale fascista per cui si spostava da un rifugio ad un altro; Mattei era a Milano ad organizzare le brigate partigiane cattoliche di cui sarà comandante nell’ambito del C.N.L.A.I.
Con la fine della Seconda guerra mondiale, i cattolici erano impegnati nella costruzione del nuovo Stato sui valori di libertà, democrazia, e solidarietà. La grande novità all’interno della D.C. fu il dossettismo, che diede vita alla corrente della sinistra cattolica. Il keynesismo fu sposato dalla sinistra cattolica perché correggeva gran parte delle ingiustizie economiche generate dal capitalismo (come le disuguaglianze sociali); lo Stato era lo strumento di correzione. Questo era il pensiero di Dossetti, Fanfani, Gronchi, Vanoni, Lazzati, La Pira etc. Mattei vi partecipava a pieno titolo.
I rapporti tra Mattei e La Pira si intensificarono dopo le elezioni politiche del 18 aprile 1948, quando ambedue vennero eletti alla Camera dei deputati. I rapporti si consolidarono quando Giorgio La Pira il 5 luglio 1951 venne eletto sindaco di Firenze. Organizzò tra il 1952 e il 1964 vari convegni internazionali: quelli per “la pace e la civiltà cristiana”; il Convegno dei sindaci capitali del mondo; i Colloqui del Mediterraneo. I colloqui videro la partecipazione di numerosi Stati del mondo, capi di Stato, ministri, ambasciatori e monarchi. La presenza di Mattei non mancava mai, ed ebbe la possibilità di intrattenere rapporti diplomatici ed economici con queste personalità internazionali provenienti dalle nazioni del Nord Africa, Sud Africa, Medio Oriente, America latina, India, Cina, Urss, etc. Ciò permise all’ENI di Mattei di penetrare e svolgere un ruolo di primo piano nei mercati del petrolio dell’Europa e del mondo.
• 𝐈𝐧 𝐮𝐧 𝐝𝐢𝐬𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝟏𝟗𝟕𝟏 𝐋𝐚 𝐏𝐢𝐫𝐚 𝐚𝐟𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚𝐯𝐚: “𝐬𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐯𝐞𝐧𝐠𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐫𝐚𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐢 𝐟𝐚𝐦𝐞, 𝐢𝐠𝐧𝐨𝐫𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐞 𝐦𝐚𝐥𝐚𝐭𝐭𝐢𝐞 𝐞 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐝𝐢 𝐨𝐩𝐩𝐫𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐚𝐥𝐢𝐞𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐨𝐩𝐨𝐥𝐢( 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚, 𝐞𝐜𝐨𝐧𝐨𝐦𝐢𝐜𝐚, 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐞, 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞) 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢 𝐬𝐚𝐫𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐢 𝐨𝐩𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐞 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢”. 𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐞 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞?
– La Pira espresse più volte questi concetti, in particolare quando insegnava ai giovani universitari o a quelli che partecipavano ai movimenti giovanili dell’Associazione cattolica, della FUCI o di altri movimenti religiosi. Quei concetti li riaffermò anche il 13 agosto 1971 – ero presente -parlando al raduno dei giovani a Castiglione della Pescaia in provincia di Grosseto.
Il pensiero filosofico-politico di La Pira per i giovani può essere racchiuso in questa sua frase: “se i governanti del mondo non elimineranno in radice la fame, l’ignoranza, le malattie e ogni forma di oppressione, per i giovani non vi può essere un futuro. Salvo che essi stessi non decidano di prendere l’impegno concreto per una mobilitazione mondiale e cambiare con un nuovo ordine politico mondiale fondato sulla pace, la cooperazione, lo sviluppo economico di ogni nazione della Terra”. Ciò che La Pira profetizzava ai giovani di allora mantiene integralmente la sua attualità ancora oggi.
• 𝐂𝐡𝐞 𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐜’𝐞̀ 𝐭𝐫𝐚 𝐥’𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐚 𝐚𝐭𝐭𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐢𝐝𝐞𝐚𝐭𝐚 𝐞 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐚𝐢 𝐩𝐚𝐝𝐫𝐢 𝐟𝐨𝐧𝐝𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐃𝐞 𝐆𝐚𝐬𝐩𝐞𝐫𝐢, 𝐒𝐜𝐡𝐮𝐦𝐚𝐧𝐧 𝐞 𝐀𝐝𝐞𝐧𝐚𝐮𝐞𝐫?
– L’ideale di integrazione europea dei padri fondatori si legava integralmente ad un ideale cristiano di universalità, uguaglianza politica e sociale, solidarietà fra i popoli, democrazia e libertà. Questo pensiero fu la rottura rispetto alla storia europea fondata sulla ripetizione ciclica delle guerre, delle insurrezioni e delle rivolte. Nel loro pensiero non avrebbero dovuto più esistere, da un punto di vista politico ma anche amministrativo gli italiani, i francesi, i tedeschi, etc., ma soltanto i cittadini europei vale a dire l’Europa politico-federale.
Sebbene a quei tempi il cammino dell’Europa unita era ancora legato al problema della pace, alle difficili relazioni tra le nazioni che erano state protagoniste in negativo di due guerre mondiali, tuttavia queste seppero trovare con la forza della loro fede cristiana, del rispetto reciproco e della comune fede politica, la strada per la costruzione dell’Europa prima politica poi economica: un parlamento eletto a suffragio universale con pieni poteri, in quanto rappresentante dei popoli europei; un governo con pieni poteri sovranazionali su materie strategiche e sulla politica economica; un presidente eletto dal parlamento europeo; infine, la Costituzione repubblicana dell’Europa. L’Europa di oggi si differenzia nella sostanza da quella voluta dai padri fondatori. Il sogno della loro Europa era politico-federale, mentre oggi l’Europa è spinta solo su un binario economico-monetario.
Del resto, già vi sono stati due tentativi per la costruzione di un’Europa politica, e sono falliti. Il primo, con la “Costituzione per l’Europa” il cui trattato venne firmato il 29 ottobre 2004 a Roma e ratificato da 23 Stati aderenti, ma non da Francia e Olanda. Il secondo per volontà della cancelliera Merkel che nel dicembre 2009 propose una nuova “Costituzione per l’Europa”, che prevedeva alcune modifiche e nuovi punti significativi, ma anche questo tentativo fallì a causa nuovamente di Francia e Olanda sebbene per ragioni differenti. Si è scelta quindi l’Europa economico-monetaria.
La mia opinione è che manchino dei veri statisti, animati da ideali europeisti. Il processo di integrazione europeo è proseguito negli anni solo sul binario economico: è stata introdotta la moneta unica, la BCE, l’armonizzazione delle politiche economico sociali. Per il processo di integrazione politico-federale dell’Europa non basta. Restano obiettivi che richiedono più coraggio: la politica di difesa comune; la politica estera comune; la politica europea sull’immigrazione e sull’accoglienza comune; una Costituzione per l’Europa; più poteri al parlamento europeo; un sistema istituzionale democratico e trasparente, frutto della volontà dei popoli.
Il compito che attende i politici europei è quello di dare un’anima all’Europa, che non può che essere politica e federale.
• 𝐂𝐢 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐝𝐢𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐮𝐥 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨“𝑳’𝑬𝒖𝒓𝒐𝒑𝒂: 𝒖𝒏 𝒄𝒂𝒎𝒎𝒊𝒏𝒐 𝒅𝒊𝒇𝒇𝒊𝒄𝒊𝒍𝒆” 𝒆𝒅𝒊𝒕𝒐𝒓𝒆 𝑺𝒐𝒍𝒇𝒂𝒏𝒆𝒍𝒍𝒊 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢 𝐭𝐫𝐞 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢?
– De Gasperi, Schumann e Adenauer sono stati uomini politici straordinari della storia europea e mondiale. Attribuisco ad un segno della Provvidenza che tre statisti si incontrassero in un momento assai difficile della storia europea: durante la Guerra Fredda non era esclusa la possibilità di una Terza guerra mondiale. Appartenevano alla stessa ideologia politica, professavano la stessa fede, parlavano la stessa lingua (tedesco), avevano conosciuto gli orrori della guerra, avevano combattuto il nazifascismo ed avevano conosciuto il carcere e la miseria. Nessuno poteva immaginare che avrebbero deciso le sorti della rinascente Europa e sollevato popoli dalla fame dalla miseria. Erano ardenti europeisti, convinti che solo l’Europa politico-federale avrebbe potuto abbattere i sovranismi, i rinascenti nazionalismi e le rivoluzioni bolsceviche. Solo l’Europa politico-federale avrebbe potuto salvare i singoli Stati europei dalla perdita della democrazia e della libertà, sotto la minaccia della politica imperialista del bolscevismo sovietico. I tre statisti stimolarono ed aiutarono con atti concreti la nascita dei movimenti federalisti europei a Parigi, Roma e Bonn.
• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐨𝐠𝐠𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐚𝐥𝐞 𝐥’𝐄𝐮𝐫𝐨𝐩𝐚 𝐞𝐜𝐨𝐧𝐨𝐦𝐢𝐜𝐚 𝐬𝐮 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚?
– Credo che dipenda dalla mancanza di statisti di valore e coraggiosi, che abbiano come unico obiettivo la realizzazione dell’Europa politico-federale. Questo vuoto o la difficoltà di realizzarla, anche a causa del numero elevato di Stati aderenti e della regola dell’unanimità, inevitabilmente crea uno stato di paralisi politica, che alimenta gli interessi dell’economia e delle monete come condizione per la tenuta dell’Unione medesima. Ma i problemi politici restano irrisolti come per esempio la politica migratoria, la difesa comune, la politica estera comune, etc.
• 𝐔𝐧 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐞𝐬𝐬𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐞̀ “𝐋𝐞 𝐩𝐚𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐫𝐢𝐞 𝐜𝐚𝐭𝐭𝐨𝐥𝐢𝐜𝐡𝐞. 𝐏𝐫𝐨𝐭𝐚𝐠𝐨𝐧𝐢𝐬𝐭𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐑𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐳𝐚, 𝐂𝐨𝐬𝐭𝐢𝐭𝐮𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐑𝐞𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐚” (𝐞𝐝𝐢𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐒𝐨𝐥𝐟𝐚𝐧𝐞𝐥𝐥𝐢), 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐨𝐧𝐞 𝐚𝐥𝐥’𝐚𝐭𝐭𝐞𝐧𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐢𝐥 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐢𝐛𝐮𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞 𝐜𝐚𝐭𝐭𝐨𝐥𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐭𝐫𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐑𝐞𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐚. 𝐂𝐞 𝐧𝐞 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚𝐫𝐞?
– 𝐿𝑒 𝑝𝑎𝑠𝑖𝑜𝑛𝑎𝑟𝑖𝑒 cattoliche del mio saggio furono protagoniste nella lotta al nazifascismo, nell’Assemblea Costituente e nel Parlamento repubblicano. Furono tra le più rappresentative del movimento cattolico. Ricordarle non è solo un dovere culturale-politico, ma anche morale.
Ho trattato la figura di 10 donne esemplari: Laura Bianchini, Angela Gotelli, Ida D’Este, Elisabetta Conci, Angela Maria Guidi Cingolani, Vittoria Titomanlio, Maria Agamben Federici, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Tina Anselmi. Si batterono per una società autenticamente cristiana, e i valori cristiani assorbirono integralmente il loro vissuto.
Con la caduta del fascismo il protagonismo femminile cattolico si distinse nella lotta resistenziale e di liberazione dal nazifascismo. Furono impegnate in attività umanitarie, di crocerossine anche internazionale, di protezione dei soldati in fuga, di protezione degli ebrei, in attività para-militari come le “staffette di collegamento” e militari tout-cour entrando come partigiane in clandestinità nella lotta armata. Con la fine della guerra parteciparono all’edificazione del nascente Stato democratico, attraverso i movimenti femminili cattolici: il C. I. F., la F.U.C.I., l’Azione Cattolica, il movimento femminile della D.C. Essa indicarono una terza via al movimento femminile italiano, distinto dai movimenti socialisti o laici e comunisti, fondata su: la rivendicazione del suffragio universale; il diritto di voto attivo-passivo delle donne; parità e uguaglianza tra uomo e donna nei diritti civili e politici; dignità della persona umana.
𝐿𝑒 𝑝𝑎𝑠𝑖𝑜𝑛𝑎𝑟𝑖𝑒 cattoliche vennero elette nell’Assemblea Costituente e svolsero un lavoro di elevato spessore culturale-politico-sociale. Laura Bianchini e Angela Gotelli insieme a La Pira, Fanfani, Dossetti e Lazzati furono fautrici dell’estensione degli articoli 2,3 e 31, che rappresentano l’architrave della Costituzione stessa. In questi articoli riscopriamo il valore e il primato della persona umana verso lo Stato, l’esistenza delle formazioni sociali (comunità familiare, religiosa, politica, del lavoro, etc.) e la tutela dei giovani e della maternità. Elisabetta Conci fece parte della Commissione dei 18 e si occupò degli statuti delle Regioni e delle autonomie locali. Altre si occuparono dell’ambito del lavoro: Vittoria Titomanlio si occupò dell’articolo 35; Angela Guidi Cingolani si occupò dell’articolo 36; Maria Agamben Federici dell’articolo 37 ed anche degli articoli 106 e 107 che riguardavano la magistratura, e dell’articolo 51 che prevede le pari opportunità nell’accesso agli uffici pubblici. Filomena Delli Castelli si occupò dell’articolo 29 afferente la famiglia. Maria De Unterrichter Jervolino ebbe un ruolo importante nel trattato De Gasperi-Gruber con l’Austria per la tutela delle minoranze linguistiche in Alto Adige. Tina Anselmi fu la prima ministra della Repubblica nel terzo governo Andreotti. Come ministra del lavoro a lei è legata una importante legge sulla parità di trattamento tra uomo e donna in ambito lavorativo; come ministra della sanità diede un contributo determinante nell’istituzione del servizio sanitario nazionale; fu anche presidente della commissione d’inchiesta sulla loggia massonica P2, che approvò la sua relazione in cui venne proclamata la natura eversiva della loggia. Ma più in generale, tutte furono protagoniste nel Parlamento con numerosi disegni di legge in ogni materia.
• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐨𝐧𝐨 𝐚𝐝 𝐞𝐬𝐞𝐦𝐩𝐢𝐨 𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 “𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐫𝐢𝐞”?
– Credo che sia una ragione essenzialmente di conoscenza. Molte donne e molte ragazze non conoscono queste protagoniste della storia repubblicana e non ne hanno di conseguenza approfondito il pensiero culturale, politico e storico. Ne hanno ampiamente parlato principalmente le donne che hanno svolto l’impegno politico parlamentare, le storiche o docenti universitarie. A mio giudizio c’è una qualche responsabilità del Ministero della pubblica istruzione che dovrebbe prevedere approfondimenti scolastici di qualche tipo.
• 𝐋’𝐢𝐝𝐞𝐨𝐥𝐨𝐠𝐢𝐚 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥’𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐞?
– La politica del passato era assai ideologica era talmente invasiva che coinvolgeva la vita privata e le relazioni familiari. Con la caduta delle ideologie del Novecento, soprattutto quelle condannate dalla Storia, la cultura ha avuto modo di riprendere il suo cammino con autorevolezza nella società. Al contrario, la politica di oggi si fonda in larga parte sul pragmatismo, sulla retorica, sugli slogan e sugli annunci populisti che hanno come obiettivo unico la capitalizzazione elettorale a breve termine. Ma il pericolo più grande che corre la democrazia è quello per cui la politica soggiace ai poteri economici e ai loro interessi, in cui il singolo l’uomo-cittadino è inesistente nelle decisioni, dettate unicamente dal profitto a qualsiasi costo.
• 𝐋𝐞𝐢 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐨 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐥𝐚 𝐟𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞?
– Dipende da ciò che scrivo nei romanzi: è la passione per la scrittura che mi spinge a soddisfare un desiderio del passato a cui non ho potuto dare risposta a causa dell’impegno professionale di avvocato. Quando scrivo di saggistica, invece, è la passione politica che mi coinvolge in pieno.
• 𝐒𝐢 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐨 𝐚𝐯𝐯𝐨𝐜𝐚𝐭𝐨?
– Sono due facce di una stessa medaglia. Mi sento un avvocato prestato alla scrittura: senza verità e giustizia non può esistere una società pacifica garante del progresso culturale, politico ed economico di ogni nazione.
• 𝐇𝐚 𝐦𝐚𝐢 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐟𝐞𝐫𝐢𝐫𝐞 𝐢𝐧 𝐮𝐧 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐬𝐢𝐭𝐮𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐨 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐢 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐝𝐮𝐭𝐢 𝐝𝐮𝐫𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐥𝐨 𝐬𝐯𝐨𝐥𝐠𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞?
– L’ho pensato. Nel romanzo in via di pubblicazione “𝑜𝑟𝑔𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑒 𝑔𝑖𝑢𝑠𝑡𝑖𝑧𝑖𝑎” ho trovato spunti da vicende realmente accadute durante la mia professione.
• 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐝𝐞𝐟𝐢𝐧𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐥𝐚 𝐠𝐢𝐮𝐬𝐭𝐢𝐳𝐢𝐚 “𝐮𝐧 𝐚𝐧𝐢𝐦𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐩𝐢𝐞𝐭𝐚̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐯𝐚 𝐚𝐝𝐝𝐨𝐦𝐞𝐬𝐭𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨?”
– La giustizia odierna è sempre più suscettibile alle influenze delle correnti del momento: della politica, della magistratura, della società, dei mass media, dell’avvocatura. Proprio per questo ha bisogno di decisioni collegiali in ogni grado di giudizio, che sollevino il singolo giudice dal rischio di errori giudiziari. Ricordo a me stesso che nel mio romanzo “la morsa della giustizia” (editore Solfanelli) è raffigurata la dea bendata, simbolo della giustizia. La spada che insieme alla bilancia tiene tra le mani, può essere brandita con responsabilità e determinazione nella ricerca della verità. La dea bendata non guarda in faccia a nessuno ed è impermeabile ai condizionamenti, perciò è giusta. Ma, sulla crisi della giustizia odierna si potrebbe dare un’altra chiave di lettura: la dea bendata, perché bendata, non è in grado di vedere e trovare la verità, perciò è ingiusta.
• 𝐂𝐢 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐭𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐩𝐚𝐫𝐚𝐧𝐝𝐨?
– Il romanzo a cui si riferisce è “𝑜𝑟𝑔𝑜𝑔𝑙𝑖𝑜 𝑒 𝑔𝑖𝑢𝑠𝑡𝑖𝑧𝑖𝑎”. È ambientato nell’ospedale civile di Pescara. La figura del potente – un tale Acerbo -intende la giustizia quasi accomodata, corrotta o accondiscendente ai suoi scopi, per dimostrare alla società in cui vive che chi commette un torto al potente di turno, consapevolmente o mene, non potrà sperare di farla franca: dovrà avere la consapevolezza che pagherà sempre. Acerbo crede, in virtù della sua potenza economica, che la giustizia e tutti coloro che vi operano siano al suo servizio, quasi che fosse lui l’ago della bilancia dispensatore del bene del male. È una concezione purtroppo assai diffusa nella società odierna e non solo. Per fortuna, nessuno può credere che nello Stato di diritto vi possa essere qualcuno al di sopra della legge.
• 𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚?
– A giovani che hanno voglia di conoscere e confrontarsi con la storia e la vita odierna; ai giovani che credono in una Italia e in una Europa della pace, della fratellanza, della tolleranza, della libertà e della democrazia.

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