Intervista a Nicola Accettura

𝐋’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐞𝐝𝐢̀
𝗡𝗶𝗰𝗼𝗹𝗮 𝗔𝗰𝗰𝗲𝘁𝘁𝘂𝗿𝗮
𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑛𝑖 𝐹𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑖
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• 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐟𝐞𝐫𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐨𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞, 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐨𝐫𝐞 𝐨 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐚?
– Mi lusinga la terza opzione ma, avendo dei dubbi sulla sua fondatezza, preferisco di gran lunga o il semplice “Nicola” mutabile in “Colino”, come facevano spesso i miei alunni, oppure, se mi si deve comunque dare una qualche qualifica: “signore”. Come spero di esserlo, nonostante la laurea.
• 𝐏𝐮𝐨̀ 𝐬𝐩𝐢𝐞𝐠𝐚𝐫𝐜𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐝𝐢 𝐟𝐚 𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐦𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐞𝐦𝐨𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 “𝐩𝐨𝐞𝐭𝐢𝐳𝐳𝐚𝐧𝐝𝐨” 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐦𝐢𝐜𝐚?
– Molti di noi non sanno che, uscendo di casa, si possono cogliere mille profumi, rumori, canti di uccelli vicini e lontani, voci…
Non stiamo attenti a ciò che ci circonda, non sappiamo viverlo.
Così per molti oggetti della scienza, anche per colpa di quella maledetta separazione, coltivata dalla scuola, tra discipline scientifiche e umanistiche. Pertanto, ad esempio, si impara pappagallescamente che un elettrone è contemporaneamente onda e particella, che la velocità della luce è limite invalicabile, che un integrale, una equazione impossibile, una legge di riflessione in fisica sono cose da studiare e da accettare. Non si approfondisce la meraviglia insita in queste cose, in grado di riempire l’anima e di far galoppare a perdifiato l’immaginazione. Einstein, a sedici anni, immaginò di sedere a cavallo di un raggio di luce e così intraprese la via che lo condusse là dove sappiamo. Il grande scienziato è innanzitutto grande poeta e grande filosofo. Una equazione indeterminata, valida per qualunque valore dato all’incognita, non è una porta lasciata dischiusa per sbirciare l’infinito? Bisogna saper cogliere la meravigliosa poesia che in queste cose si cela, semplicemente ponendovi attenzione.
• 𝐔𝐧𝐚 𝐦𝐨𝐥𝐞𝐜𝐨𝐥𝐚 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐟𝐚𝐫 𝐢𝐧𝐧𝐚𝐦𝐨𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐮𝐧 𝐚𝐭𝐨𝐦𝐨?
– Questa domanda è di per sé una immagine molto poetica: una molecola che si innamora di un atomo. E viceversa. Senza quell’atomo, quella molecola non esisterebbe. E viceversa. Un legame chimico è il termine di unione. Da chi parte? Oppure parte da entrambi gli estremi? O non parte da nessuno ed invece “è” e basta? E perché, nella reazione, si scelgono, trascurando altre particelle, sia pur simili, ma mai identiche? Oh, sì! Si tratta proprio di amore.
• 𝐋𝐚 𝐯𝐚𝐧𝐢𝐭𝐚̀ 𝐞̀ 𝐮𝐭𝐢𝐥𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐮𝐧 𝐚𝐮𝐭𝐨𝐫𝐞?
– Potrebbe essere utile per attirare galline e leccapiedi. Al momento mi sfuggono altri aspetti. Soprattutto, mi sfuggono eventuali lati positivi.
• 𝐈𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐜𝐡𝐢𝐦𝐢𝐜𝐢 𝐡𝐚 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐚𝐭𝐨?
– Montedison di Mantova (come ricercatore) e di Brindisi (ricerca e assistenza all’impianto MDI). Come mai, poi, sono passato all’insegnamento? Una sera, dopo aver lavorato dalle 5 di mattina fino alle 10 di sera, senza pausa pranzo, ed essendo ovviamente pagato dalle 8 alle 17, ormai aduso alla scarsa considerazione goduta dalla ricerca, parlavamo (in cinque, nella vettura che ci conduceva in portineria, distante 7 chilometri dall’impianto) non già di donne e motori, ma di “strozzare la mandata della E514 e aumentare il flusso nello scambiatore”. D’un tratto uscii da me stesso e, posizionandomi sulla cappelliera sotto il lunotto posteriore, osservai quei cinque estranei che discutevano. In particolare, considerai uno di loro, che era uno che “aveva fatto carriera”, che scatenava i suoi tre tic nervosi. “Vuoi finire così?” domandò a me il mio extracorpo, prima di rientrare in me. Il giorno dopo iniziai a cercare un altro lavoro, scegliendo tra il mestiere di docente (tradizione di famiglia) o di conduttore di erboristeria (sono diplomato in tale disciplina), con il proponimento di iscrivermi a Farmacia per completezza di studi.
• 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐢 𝐡𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐝𝐨 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥’𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨?
– Riassumendo brevemente: sei anni nelle medie, ventidue nelle superiori, esperienze nelle elementari come formatore (per i docenti) sulla didattica delle scienze, per conto dell’I.R.R.S.A.E. Puglia. Ho molto imparato, soprattutto nelle situazioni di classi difficili. E ho toccato con mano che appartiene al mondo delle favole il prof in grado di “redimere” il difficile. E sul termine “redimere” possiamo discutere a lungo. Tranne rare eccezioni, che abbisognano di rarissimi concorsi di circostanze, in cui il 90% degli insegnanti sarebbe comunque in grado di apparire come luminoso esempio, la grandissima maggioranza delle situazioni è senza scampo: troppi i fattori esterni che indirizzano in senso opposto. In tutti i gradi di studio esplorati, concludo che i programmi di studio, così come sono strutturati, sono una inimmaginabile schifezza, che deprimono l’intelligenza dei ragazzi. Ancora adesso penso riforme rivoluzionarie, nella didattica e in altri settori (e talvolta sono pure riuscito ad attuarli, con altri due colleghi di chimica e fisica), che solo ora vengono citate come future possibilità di evoluzione. Alcuni caratteri della scuola finlandese sono da noi stati attuati una trentina di anni fa (abolizione del voto, totale innovazione delle verifiche, e così via). I peggiori nemici di tutto ciò sono stati i colleghi “anziani ed esperti”, la loro gretta ignoranza nelle stesse discipline da loro “insegnate” (l’aggiornamento continuo è una chimera), nonché la montagna di carte inutili e riunioni che devastano la mente di docenti e dirigenti. Ma i ragazzi, i ragazzi e lo splendido e travolgente rapporto che si riesce a instaurare con loro valgono mille volte la pena che il resto reca. Figli. Sono ancora in contatto con una moltitudine di essi (grazie, facebook!), ogni tanto ci incontriamo, ci diciamo i fatti e i pensieri. E pure con molti genitori loro.
• 𝐋𝐚𝐯𝐨𝐢𝐬𝐢𝐞𝐫 𝐜𝐢 𝐡𝐚 𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 “𝐧𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐬i 𝐜𝐫𝐞𝐚, 𝐧𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐢 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐫𝐮𝐠𝐠𝐞, 𝐦𝐚 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐢 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚”. 𝐂𝐢𝐨̀ 𝐚𝐯𝐯𝐢𝐞𝐧𝐞 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐢𝐞𝐫𝐨 𝐮𝐦𝐚𝐧𝐨?
– In relazione alla parte conosciuta dell’Universo, pare proprio che Lavoisier abbia ragione. Nulla, invece, sappiamo di ciò che accade nella parte ignota, sempre se esiste veramente ciò che ci appare esistere, incluso noi. Il pensiero non può sfuggire alle regole universali, appunto perché è parte dell’Universo stesso, pur avendo mirabolanti caratteristiche. Ad esempio, in un attimo (ma esiste l’attimo?) può percorrere spazio e tempo al di fuori dei limiti delle leggi usuali, a velocità persino 13.7 miliardi di volte superiori a quella della luce. E ho detto 13.7 miliardi di volte, perché questa è l’età stimata dell’Universo. Dando per vera l’esistenza dell’Universo, è pacifico che non possiamo andare oltre tale limite spazio-temporale, perché “prima” dell’Universo è un concetto inesistente.
• 𝐂’𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐠𝐮𝐢𝐝𝐚 𝐧𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐢𝐜𝐨?
– Se mi soffermo a pensarvi, devo dire che non ho avuto una vera e propria guida poetica. Invece, ringrazio moltissimo il mio ex prof di italiano e latino delle medie (ne onoro sempre la memoria) che mi aprì cuore e anima con la lettura dei poeti allora contemporanei (erano ancora viventi Ungaretti, Montale, Luzi, Quasimodo, Saba, Cardarelli e una folta schiera di altri “grandi”), sì da farmi immaginare di poterli addirittura incontrare per strada. Mi fu aperta la via per esplorare i monumenti della letteratura, italiana ed estera, senza vincoli di tempo. Devo anche ringraziare Daniele Giancane, che mi ha indotto a riaprire i cancelli della poesia, aperti in prima media, e lentamente richiusisi sulla ruggine dei loro cardini.
• 𝐓𝐫𝐚 𝐮𝐧 𝐩𝐫𝐨𝐭𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐮𝐧 𝐞𝐥𝐞𝐭𝐭𝐫𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐧𝐞𝐫𝐠𝐢𝐚 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐩𝐨𝐭𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐬𝐩𝐫𝐢𝐠𝐢𝐨𝐧𝐚𝐫𝐬𝐢?
– Potrei brevemente rispondere: l’energia poetica che permea tutte le cose. Essa c’è, e non ha bisogno di sprigionarsi. Tutto vive (anche ciò che definiamo inanimato). Tocca a noi essere in grado di trovare la loro poesia e di incantarci di fronte ad essa, immergendoci fino in fondo, per percorrere così la via che porta alla massima letizia, alla felicità.
• 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐢 𝐡𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐆𝐞𝐥𝐚𝐭𝐢 𝐋𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐚𝐫𝐢 𝐚 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚?
– Ricordo una bella serata di scambio di poesia, di consolidamento personale di amicizie vissute essenzialmente per via mediatica, di fronte al mare Adriatico, che ci lega, sulla stessa sponda. E forte è il ricordo delle belle ore passate con il nostro anfitrione Antonio Fagnani, dei discorsi fatti, della spontanea e naturale corrente di simpatia che, già largamente presente, ha avuto modo di ampliarsi.
• 𝐋𝐚 𝐜𝐮𝐫𝐢𝐨𝐬𝐢𝐭𝐚̀ 𝐞̀ 𝐛𝐚𝐬𝐢𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐦𝐢𝐜𝐚, 𝐥𝐨 𝐞̀ 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐞𝐬𝐢𝐚?
– Rivolto la domanda: come può un poeta non amare la conoscenza di altri poeti e di ciò che lo circonda? Può un solipsista procedere nel suo cammino? Può esimersi dallo studiare sempre, in particolare osservando il nuovo che avanza, avendo comunque cura di approfondire il passato? Anche la pessima poesia è utile, pur se, come la musica mal eseguita, mi fa il brutto effetto di procurarmi un fisicamente reale fastidio allo stomaco. Evidentemente, frequentare i “grandi” potenzia le reazioni del sistema immunitario.
• 𝐂𝐢 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐢𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐋𝐚 𝐕𝐚𝐥𝐥𝐢𝐬𝐚 𝐝𝐢 𝐜𝐮𝐢 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐫𝐞𝐝𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢?
– La Vallisa” è una rivista letteraria storica la più longeva tra le italiane. Oltre 40 anni di vita. Ha combattuto battaglie letterarie storiche. Ha persino rischiato di avere un ruolo di pacificazione nell’ultimo confitto balcanico, della ex Iugoslavia, non realizzatosi per cause naturali, ma non per mancanza di volontà. Ha ospitato nomi illustri e anche personaggi controversi; ha aperto ponti tra le nazioni, partendo sempre dall’amore per la poesia. Beh! Anche se adesso non faccio più parte della redazione, del sentimento rimane sempre attaccato alle cose belle, anche se appartengono al passato. Come talvolta accade, anche alle redazioni delle riviste, essa ha subito una sorta di rivoluzione. I “vecchi” non ne fanno più parte e forze fresche sono subentrate. Il rinnovamento è spesso fonte di progresso. E percorrere nuove strade fa spesso bene. Restano i ricordi di anni generosi, di amicizie nate attraverso i confini che gli umani scioccamente pongono tra i popoli, di collaborazioni, di scoperte di nuovi linguaggi poetici. Il primo numero successivo al cambiamento è nato in questo novembre e la nuova redazione è costituita da amici poeti. Avrà certamente un buon cammino.
• 𝐋𝐚 𝐟𝐞𝐝𝐞 𝐞 𝐥𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐦𝐢𝐜𝐚 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞?
– Certamente. Personalmente, credo in un Creatore, pur se ho dei dubbi sulla realtà materiale (come la intendiamo noi) del Creato stesso. Posso dire di sentirmi cristiano? Ritengo che il vero e unico Dio abbia “parlato” agli uomini (e alla alle altre esistenze, compresi quelle extraterrestri) con le “parole” che essi possono intendere. Sorrido mestamente quando sento di differenze religiose, soprattutto se sono fonte di contrasto. Penso, anzi, che il “credente” abbia migliori opportunità per penetrare nella bellezza delle cose. Del resto, come dice S. Paolo, la fede cessa quando conosciamo il Dio (dopo la morte), perché ne saremo al cospetto; la speranza pure cessa, quando avremo raggiunto la certezza del Creatore; resterà la carità, che è il Dio stesso. E la chimica è uno dei percorsi che lo avvicina.
• 𝐇𝐚 𝐦𝐚𝐢 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐭𝐞𝐚𝐭𝐫𝐨?
– Ebbene: indegnamente, ma molto indegnamente, lo faccio. Coinvolto prima da Zaccaria Gallo, che mi ha trascinato nell’avventura della lettura ad alta voce, insieme a più gruppi di altri appassionati, e poi da Alfredo Vasco che, peggio ancora, mi ha fatto calpestare il palcoscenico di teatri in cui sarei solo degno di raccogliere la spazzatura. Ma, sfacciatamente, continuo perché mi piace e mi diverto un mondo. E perché l’esperienza del contatto con il pubblico è un qualcosa di inimmaginabile, che intender non lo può chi non lo prova.
• 𝐎𝐥𝐭𝐫𝐞 𝐚 𝐩𝐨𝐞𝐬𝐢𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢 𝐞 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢?
– E che amante della letteratura sarei, se non lo facessi? Qualche saggio sui grandi educatori, rivolto agli studenti universitari; svariati racconti, essenzialmente in opere collettanee, spesso rivolte alle scuole, presso cui hanno avuto un discreto successo, credo grazie all’ottima fama dell’Editore e alla bravura del propagandista. Romanzi no, anche perché la mia frequentazione con le cose della scienza mi ha abituato alla brevità e alla sintesi. L’arte del racconto mi attrae. Anche perché mi permette la meravigliosa sensazione dell’animarsi dei personaggi, che talvolta ti prendono la mano tra le loro e ti trascinano nello scrivere quello che vogliono loro, prevaricando anche la tua volontà, conducendoti per le strade che essi vogliono, pur se diverse da quelle che avevi previsto di scrivere. E dico prenderti la mano, perché la mia prima stesura di un testo è fatta rigidamente a mano, con carta e penna, possibilmente stilografica, se non con calamaio e pennino da intingere nell’inchiostro. Così i personaggi possono più facilmente agire, in quanto una tastiera li sfastidia e li contraria. La trascrizione in forma di file è consigliabile solo in seguito, il che permette una qualche correzione, mentre “loro” non vedono
• 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐢 𝐡𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐞𝐠𝐧𝐢 𝐞 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐂𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐭𝐚̀ 𝐏𝐨𝐞𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐄𝐬𝐭𝐞𝐫𝐞?
– Il miracolo regolarmente verificatosi, in tali occasioni, è che la comunicazione è fluita naturalmente, in inglese raccogliticcio, francese, anche buon italiano (in Albania, e anche con un inopinato nativo di Martina Franca trapiantato in Polonia). Ricordo l’atmosfera gioiosa, costruttiva. Incredibilmente, le poesie lette in lingua originale (greca, bulgara, rumena, vietnamita – è poesia cantata, quest’ultima – albanese, tedesca e quant’altro) penetravano comunque nell’anima festante, indipendentemente dall’eventuale traduzione in inglese che spesso le seguiva. E poi, resta il ricordo di chi non c’è più, come Agim Mato, il poeta albanese (un vero poeta), con cui ho condiviso le corde di una profonda amicizia. Mi mandava le copie delle sue opere (successivamente alla nostra amicizia) per una revisione finale in italiano, nonostante si appoggiasse a due brave traduttrici. Mi colse la notizia della sua morte dopo che da poco gli avevo inviato la revisione dell’ultimo suo testo, con delle poesie stupende, che mi avevano profondamente commosso. Il libro non è stato più pubblicato, e mi rendo conto di custodire, con pochi altri a cui le ho lette, la memoria di cose meravigliose.
• 𝐈𝐥 𝐥𝐮𝐧𝐞𝐝𝐢̀ 𝐦𝐚𝐭𝐭𝐢𝐧𝐚 𝐜’𝐞𝐫𝐚 𝐢𝐥 “𝐫𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐚𝐟𝐟𝐞̀ 𝐚𝐥 𝐛𝐚𝐫” 𝐜𝐨𝐧 𝐢𝐥 𝐩𝐫𝐨𝐟. 𝐃𝐚𝐧𝐢𝐞𝐥𝐞 𝐆𝐢𝐚𝐧𝐜𝐚𝐧𝐞 𝐞 𝐢𝐥 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐚/𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐀𝐥𝐟𝐫𝐞𝐝𝐨 𝐕𝐚𝐬𝐜𝐨. 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐫𝐢𝐭𝐨 𝐬𝐢 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐫𝐨𝐭𝐭𝐨?
– Il caffè al bar. Tutti e tre ne abbiamo nostalgia, tre amici che stanno bene insieme, chiacchierando a ruota libera. Ma accade che le belle cose, se imprigionano le persone nelle regole e nei riti delle abitudini, perdono la loro bellezza, per difetto di libertà. Bisogna guardare avanti, non indietro.
• 𝐃𝐢 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐩𝐨𝐫𝐭 𝐞̀ 𝐚𝐩𝐩𝐚𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨?
– È vero: sono appassionato di sport e della sua bellezza, nonché molto curioso delle novità che vi si affacciano. Ma sono drammaticamente uno sportivo da poltrona. Disdegno fortemente anche le palestre, con la gente sudaticcia e maleodorante, contentissime per aver appena fatto cose che giudico molto sciocche. Correre per rimanere nello stesso posto, su un tapis roulant, vi sembra una cosa sensata? Andavo molto in bicicletta, fino a poco tempo fa, cioè fino al quinto furto di bicicletta subito, ivi incluso un rugginoso catenaccio a due ruote, cigolante e semplicemente inguardabile. Usavo la bici per comodità, per via del facile parcheggio e della rapidità di spostamento. Mai ho pensato di partecipare a quegli imbecilli raduni domenicali dove gente sorridente a destra e a manca fa sciocchi giri suonando i campanellini, dichiarando di essere ecologisti senza immaginarne il significato. Ho optato per un monopattino elettrico, che posso portare in casa e fermare ai pali, possibilmente esenti da pipì di cane, con un catenaccio apposito originale cinese (non le volgari imitazioni italiane o tedesche). Ovviamente, sono dotato di giubbino catarifrangente, casco e assicurazione, e mi guardo bene dall’infrangere le regole del Codice. Sono stato investito una sola volta, da una cretina, in circa duemilacinquecento chilometri percorsi in città. Però devo sommessamente confessare che ho un debole per il calcio, per l’arioso dispiegarsi della rete delle giocate corali, per i movimenti senza palla, per i virtuosismi dei campioni e dei poveracci, per le reti segnate con divina ispirazione, per le epiche imprese dei portieri e dei difensori. Tifo unicamente per la squadra della mia città. Ma non ditelo in giro, perché ciò è assolutamente fuori moda.
• 𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚?
– Alla signorina Poesia e a tutti i suoi appassionati, purché la amino e non siano adusi a calpestarla con ignobili versi.

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