Intervista a Lucio Di Biase
𝐋’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐞𝐝𝐢̀
𝗟𝗶𝗰𝗶𝗼 𝗗𝗶 𝗕𝗶𝗮𝘀𝗲
𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑛𝑖 𝐹𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑖
• 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨 𝐡𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐍𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐃𝐞𝐦𝐨𝐜𝐫𝐚𝐳𝐢𝐚 𝐂𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐬𝐯𝐨𝐥𝐬𝐞 𝐚 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚?
– Parliamo della seconda Festa Nazionale dell’Amicizia della Democrazia Cristiana che si svolse, appunto, a Pescara, soprattutto nella Pineta a quel tempo D’Avalos, nome storicamente corretto.
Era settembre del 1978 ed era l’anno in cui, tra marzo e maggio, venne rapito ed ucciso Aldo Moro. Io ero già attivo ed ero responsabile dei giovani democristiani della città di Pescara. Per noi giovani fu un momento molto importante, in quanto avvertivamo già che il Partito fosse troppo rinchiuso nei Palazzi del Potere e non avesse più la forte incidenza nel territorio. Era ciò che Moro aveva molte volte sollecitato, quando disse che bisognava aprire le finestre, ovviamente del Partito, per far entrare aria nuova. E la DC nazionale volle tenere la seconda edizione della Festa Nazionale dell’Amicizia a Pescara, dopo aver tenuto la Prima edizione a Palmanova, in Friuli.
• 𝐃𝐨𝐩𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐜𝐢𝐬𝐞 𝐝𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚?
– Nel 1978 ero già Consigliere di Quartiere in quanto ero stato nominato a tale carica; infatti, a quel tempo i Consigli di Quartiere venivano nominati dal Sindaco sentiti tutti i Partiti ed io ero stato nominato nell’autunno del 1975 ed ero forse il più giovane Consigliere di Quartiere d’Italia in quanto avevo compiuto 18 anni a giugno del 1975. Il gruppo dei giovani della Dc dei Colli, di cui ero il responsabile, aveva costituito un movimento giovanile dedicato a “Sakharov”, a quel tempo dissidente sovietico. Questo movimento giovanile entrò nella leggenda della Politica locale. Successivamente da questo movimento nacque un Circolo Culturale, denominato “Presenza Popolare”, che pubblicava un quindicinale che portava lo stesso nome del circolo “Presenza Popolare” e divenne un luogo di libero confronto dei giovani e anche di adulti della Democrazia Cristiana. Di questo giornale io ero il Direttore, ma voglio ricordare Lorenzo Labarile che fu Direttore responsabile fino alla chiusura del giornale nel 1993. Sfogliando oggi quei giornali, che conserviamo, ci si accorge come in quegli anni in molti di noi fosse matura l’idea che la Dc stava in sofferenza e che magari ci voleva una forte svolta. E poi accadde ciò che tutti sappiamo e che la storia leggerà tra qualche decennio.
• 𝐃𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐠𝐥𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐚𝐫𝐭𝐢𝐞𝐫𝐞 𝐚 𝐢𝐧𝐜𝐚𝐫𝐢𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐢 𝐫𝐢𝐥𝐢𝐞𝐯𝐨 𝐧𝐞𝐥𝐥’𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐢 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐚𝐫𝐫𝐞𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐨 𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐜𝐡𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀! 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐦𝐚𝐢 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐢𝐭𝐨 𝐧𝐨𝐧 𝐥’𝐡𝐚 𝐦𝐚𝐢 𝐜𝐚𝐧𝐝𝐢𝐝𝐚𝐭𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢𝐧𝐝𝐚𝐜𝐨?
𝐀𝐝𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐝𝐢𝐫𝐥𝐨 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢…
– Intanto ai tempi della Democrazia Cristiana non potevo minimamente aspirare a tale incarico. Vi erano amministratori di grande spessore e qualità, e io ero un giovane. Nella seconda Repubblica, sempre nella cosiddetta Seconda repubblica, finita la Democrazia Cristiana aderii al Ccd, che raccolse un po’ di reduci democristiani, mentre l’elettorato democristiano si rifugiò prevalentemente in Forza Italia. Col Ccd, che poi divenne Udc, sono stato dal 1994 fino al 2014 ricoprendo la carica per 9 anni di assessore e poi anche semplice Consigliere comunale e per un periodo anche Presidente del Consiglio. Non ho mai aspirato ad essere candidato a Sindaco di Pescara, in quanto per scelta dopo la fine della Dc non ho mai aderito a Partiti in grado di esprimere il Sindaco di Pescara. Ma ripeto: non mi è mai interessato, ma soprattutto non mi interessa in questa fase della seconda Repubblica o terza o non ho ancora capito di cosa si tratta, ecco, diciamo che non riesco più a sentirmi coinvolto dalla politica contemporanea che parla un linguaggio distante dal mio che, ritengo, sia ormai superato dalla storia. Non so se in bene o in male.
• 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐢 𝐡𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐞𝐬𝐩𝐞𝐫𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢 𝐀𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞?
– Ci vorrebbe un libro per descrivere i 35 anni della mia esperienza di amministratore. Da consigliere di quartiere, carica ricoperta dal 1975 al 1980 a quella di consigliere comunale ricoperta dal 1985 al 1993, e questo con la Democrazia Cristiana. Poi dal 1994 al 2003 assessore con il Ccd e con varie deleghe, tra cui sempre la cultura, e poi dal 2004 al 2014 con l’Udc sono stato prima consigliere comunale e poi anche Presidente del Consiglio comunale. Dal 1999 al 2004 anche Consigliere provinciale. Voglio ricordare in questi anni di impegno amministrativo, tre interventi che penso abbiano dato molto alla città: l’evento “il fiume e la memoria”, pensato ed istituito quando ero assessore alla cultura e che ha cambiato il centro storico, da luogo ai margini della città a luogo della cultura, per poi diventare, in questi ultimi tempi, luogo esclusivamente della Movida, ma ci sono ancora le potenzialità per un suo rilancio. Sempre come assessore alla cultura ho ipotizzato “il Parco archeologico-paesaggistico” di Colle del Telegrafo, oggi luogo di immagine della città. Infine, voglio ricordare, perché la memoria si estingue se non rialimentata, i sette impianti sportivi fatti realizzare quando ero assessore allo sport. Mi fermo qui!
• 𝐓𝐫𝐚 𝐢 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐢𝐮𝐭𝐢 𝐜𝐡𝐢 𝐡𝐚 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐦𝐞𝐧𝐨 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐫𝐢𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀?
– Questa è una considerazione troppo generica. Ci sono tanti amici, della Dc, che magari potevano sicuramente dare contributi importanti al nostro territorio, ma per varie circostanze sono rimasti “intrappolati” nelle dinamiche politiche; nella Prima Repubblica, ricordo Pino Ciccantelli. Per la seconda Repubblica non sono in grado di esprimere opinioni.
• 𝐋𝐚𝐬𝐜𝐢𝐚𝐭𝐚 𝐥𝐚 𝐩𝐨𝐥𝐢𝐭𝐢𝐜𝐚 𝐬𝐢 𝐞̀ 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚, 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐢 𝐝𝐢 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨. 𝐋𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐪𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐫𝐢𝐟𝐮𝐠𝐢𝐨?
– Assolutamente no. Ho pubblicato il mio primo libro, dei 26 scritti, nel 1998 ed ero assessore allo sport, cultura, Nettezza urbana e Politica della Casa, quindi non mi dovevo “rifugiare”. In seguito, la cosa mi ha preso la mano e ho cominciato in quegli anni a scrivere libri su Pescara e sulla Democrazia Cristiana. Diciamo che, dopo aver lasciato dieci anni fa la politica attiva, ho incrementato le pubblicazioni, che oggi sono un buon numero, soffermandomi anche su D’Annunzio col volume “l’onorevole D’Annunzio” e su Flaiano con il libro scritto insieme ad Enrico Vaime “Il mio Flaiano”. La media, tra libri di storia, saggi, romanzi e biografie è di circa un libro l’anno, anche se negli ultimi due anni ne ho pubblicati quattro, ma ho recuperato la fase della Pandemia.
• 𝐈𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐚 𝐌𝐨𝐫𝐨 𝐞̀ 𝐮𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐛𝐞𝐥𝐥𝐢 𝐝𝐚 𝐦𝐞 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐬𝐮𝐥 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐃𝐂. 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐝𝐞𝐜𝐢𝐬𝐞 𝐝𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐫𝐠𝐥𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨?
– Zio Remo, ovvero il nostro grande Remo Gaspari, mi diceva sempre che, pur essendo un fedele gaspariano, ero molto moroteo. Diciamo che lo ero per la visione che avevo del Partito, e cioè non gradivo un Partito semplicemente appiattito sulla quotidiana gestione del Potere, ma che fosse invece in grado di leggere ed interpretare il mondo che cambiava, entrare con consapevolezza nelle dinamiche dei cambiamenti, un partito, proprio come diceva Moro, che apriva le finestre del proprio castello all’aria nuova. E quindi, anche se ho scritto la biografia di Spataro e Gaspari e “L’era della balena” in cui intervistai tutti i parlamentari democristiani in vita agli inizi del duemila, non potevo non occuparmi di Aldo Moro. Ho cercato nel libro di non soffermarmi sul rapimento e sull’uccisione, infatti il libro termina il giorno del rapimento, ma ho cercato di capire cosa ha dato questo personaggio al nostro Paese. Mi fa piacere che Le sia piaciuto.
• 𝐃𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐚 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐨! 𝐂𝐨𝐦’𝐞̀ 𝐚𝐯𝐯𝐞𝐧𝐮𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨?
– Essere stato assessore alla cultura di Pescara per nove anni mi ha inevitabilmente inculcato la passione per la storia e la cultura, però devo dire che mio zio, l’artista Luigi Baldacci, mi ha guidato nelle riflessioni, nella conoscenza e nell’attenzione al mondo della cultura. E poi nel 2010 mi sono laureato in storia. Ecco, questi elementi mi hanno guidato nel passaggio dalla politica alla storia e alla cultura.
• 𝐍𝐞𝐥 𝐬𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐃𝐚𝐧𝐢𝐞𝐥𝐚 𝐃’𝐀𝐥𝐢𝐦𝐨𝐧𝐭𝐞 “𝐃’𝐀𝐧𝐧𝐮𝐧𝐳𝐢𝐨 𝐞 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐝𝐢𝐚𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨” 𝐬𝐢 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐞 𝐝𝐢𝐚𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐕𝐚𝐭𝐞. 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐞̀ 𝐜𝐨𝐬𝐢̀ 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐧𝐭𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨?
– E’ interessante capire la differenza tra il dialetto che D’Annunzio usa nelle Sue opere più significative, primo fra tutte “La figlia di Jorio”, e quello che usava con i suoi amici, in gioventù e che traspare da alcune lettere e sonetti inviati ai suoi amici di sempre. L’idea è nata anche dal confronto col nostro grande amico ed ispiratore Vito Moretti. Da questo libro si evidenzia la differenza di dialetto, ad esempio, tra l’odierna Porta Nuova, a quel tempo Pescara,e la zona dei Colli della Madonna dei Sette Dolori, a quel tempo Castellamare. Una profonda differenza frutto delle varie contaminazioni.
• 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨 𝐡𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐂𝐨𝐧𝐠𝐫𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐄𝐮𝐜𝐚𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐜𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐬𝐯𝐨𝐥𝐬𝐞 𝐚 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐥’𝐚𝐫𝐫𝐢𝐯𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐚𝐩𝐚 𝐏𝐚𝐨𝐥𝐨 𝐕𝐈 𝐞 𝐌𝐚𝐝𝐫𝐞 𝐓𝐞𝐫𝐞𝐬𝐚 𝐝𝐢 𝐂𝐚𝐥𝐜𝐮𝐭𝐭𝐚 𝐨𝐠𝐠𝐢 𝐬𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐡𝐢𝐞𝐬𝐚 𝐂𝐚𝐭𝐭𝐨𝐥𝐢𝐜𝐚?
– Non ho nessun ricordo in quanto, il caso volle, che proprio nei giorni del Congresso Eucaristico svoltosi a Pescara, io partecipavo come forza lavoro alla Prima Festa Nazionale dell’Amicizia a Palmanova, dove rimasi 15 giorni. Se non ricordo male fui l’unico abruzzese presente in quella grande Kermesse del Popolo democristiano che, come ho detto sopra, sperava di riconquistare la Piazza.
• 𝐍𝐨𝐧 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐚𝐯𝐯𝐞𝐧𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐬𝐢𝐚 𝐜𝐚𝐝𝐮𝐭𝐨 𝐧𝐞𝐥 𝐝𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨𝐢𝐨 𝐝𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐯𝐚𝐫𝐢𝐞 𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐮𝐬𝐬𝐞𝐠𝐮𝐢𝐭𝐞?
– Penso proprio di si, ma ritengo che la società civile debba sollecitare e spingere le amministrazioni a fare le cose, in quanto oggi non ci sono più i Partiti della Prima repubblica che erano cinghie di trasmissioni tra il territorio e le istituzioni e che quindi sollecitavano Partiti ed istituzioni.
• 𝐐𝐮𝐢𝐧𝐝𝐢 𝐥𝐞𝐢 𝐚𝐟𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚 𝐜𝐡𝐞, 𝐩𝐮𝐫 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐮𝐧𝐚 𝐜𝐢𝐭𝐭𝐚̀ 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐦𝐨𝐝𝐞𝐫𝐧𝐚, 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚 𝐡𝐚 𝐮𝐧 𝐩𝐚𝐭𝐫𝐢𝐦𝐨𝐧𝐢𝐨 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐧𝐨𝐭𝐞𝐯𝐨𝐥𝐞?
– Io faccio queste affermazioni sulla base di riscontri oggettivi che riesco ad individuare, a leggere e a ricostruire nelle dinamiche evolutive. Ma ci vogliono documenti, elementi visivi frutto di scavi, rinvenimenti, testimonianze. La storia non si scrive per sentito dire o per aver distrattamente percepito delle vicende o scopiazzando notizie senza capirne genesi e dinamiche, così facendo generiamo confusione. Si, Pescara ha una storia importante che trae origine dalla realizzazione della Piazzaforte.
• 𝐈𝐥 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐚 𝐅𝐨𝐫𝐭𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐝𝐢 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚, 𝐞𝐝𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚 𝐞𝐝𝐢𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞 𝐒𝐨𝐥𝐟𝐚𝐧𝐞𝐥𝐥𝐢, 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐜𝐚𝐩𝐨𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐨𝐦’𝐞̀ 𝐬𝐭𝐫𝐮𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚𝐭𝐨. 𝐂𝐞 𝐧𝐞 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐩𝐚𝐫𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐞 𝐝𝐢𝐫𝐜𝐢 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐥𝐨 𝐡𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨?
– Senza la Piazzaforte oggi posso affermare che non ci sarebbe l’attuale città. L’odierna Pescara è una conseguenza della realizzazione della Piazzaforte che ha sempre esercitato il suo fascino sui cittadini. Recentemente con i resti del Bastione S. Vitale sono emersi pezzi del baluardo spagnolo da toccare e vedere per rendersi conto della sua maestosità. Per tre secoli questa struttura militare difensiva a nord del Regno di Napoli caratterizzò un vasto territorio, determinandone dinamiche e sviluppi. Da uno dei Bastioni della Piazzaforte, e precisamente da quello di S. Cristoforo o Bandiera o del Telegrafo, Vittorio Emanuele II pronunciò l’ormai famosa e memorabile frase che iniziava con “Oh, che bel sito…”. Era il 17 ottobre 1860. A quel giorno si ritiene appartenga la prima idea della demolizione della Piazzaforte, anche se i misteri sulle dinamiche di realizzazione e abbattimento non sono state sempre ben delineate nei numerosi documenti storici anche se negli ultimi tempi abbiamo dei chiarimenti con gli approfondimenti delle dinamiche evolutive, grazie al ritrovamento di documenti e ai recenti rinvenimenti dei resti dei bastioni, che ci aiutano ad approfondire la conoscenza di questa nostra piccola città, crocevia da almeno due millenni tra nord e sud, est e ovest.
• 𝐐𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐢 𝐫𝐞𝐩𝐞𝐫𝐭𝐢 𝐭𝐫𝐨𝐯𝐚𝐭𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐢𝐦𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐢𝐥 𝐯𝐢𝐬𝐬𝐮𝐭𝐨 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐝𝐢 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚?
– Abbiamo già fatto cenno al sotterraneo del Bastione San Vitale, ma ovviamente è stato straordinario il rinvenimento a Rampigna di stratificazioni che affondano le radici nel medioevo, ma che i futuri scavi ci condurranno in reperti del periodo romano, di questo ero consapevole da decenni e infatti ci sono tracce nei miei libri precedenti di queste certezze. Nel passato sono venuti alla luce altri reperti significativi per esempio, quando ero assessore alla cultura, fu rinvenuto il mosaico golenale e prima ancora undici tombe del periodo pagano rinvenute ai Gesuiti.
Ecco, questi rinvenimenti aiutano a completare la ricostruzione della storia della città, che è sempre in continuo divenire, ovviamente non la storia, ma la ricostruzione della storia.
• 𝐂𝐨𝐦’𝐞̀ 𝐧𝐚𝐭𝐚 𝐥’𝐢𝐝𝐞𝐚 𝐝𝐢 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐯𝐞𝐫𝐞 𝐮𝐧 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐮𝐜𝐢𝐧𝐚 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐞𝐬𝐞?
• Tutto è nato da Paolo Minnucci che mi ha invitato un paio di anni fa alla competizione “Politici ai fornelli”, io che non mi sono mai avventurato in cucina. E ho vinto. Tipica vittoria del dilettante di turno. E da lì, spinto da Minnucci, ho cominciato a pensare ad una pubblicazione sulla cucina pescarese e quindi sono partito da “Pescara non ha rughe”, come scriveva nel libro La favola pitagorica il giornalista Giorgio Manganelli, proprio guardando alla città giovane, moderna, ma smemorata, meticcia, contaminata definendo Pescara “Una città lenta, amante delle passeggiate e dei cibi pingui d’Abruzzo”.
Pescara è una città che va osservata guardando in alto. Ci accorgeremo, così, che esiste ancora una città da leggere e da conservare. In questa circostanza, parlo dei cibi con cui nel corso dei secoli i pescaresi si sono alimentati confrontandomi con esperti, come Mimmo D’Alessio e Tino Di Sipio, e attingendo foto da Tonino Di Loreto e notizie dagli articoli di Romeo Tommolini, da pubblicazioni di vari pescaresi, ma anche dai sonetti di Gabriele D’Annunzio e dai ricordi di alcune signore della città. Ovviamente, le ricette risentono delle contaminazioni del territorio, per cui prodotti, quantità e lavorazione sono quelli espressi dalle originali sensibilità del territorio stesso. In questo percorso enogastronomico vive la quotidianità della città nel corso del tempo.
• 𝐎𝐠𝐠𝐢 𝐥𝐞𝐢 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐯𝐚𝐥𝐢𝐝𝐨 𝐨𝐫𝐠𝐚𝐧𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐞𝐯𝐞𝐧𝐭𝐢 “𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐭𝐮𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐜𝐢” 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐚 𝐑𝐞𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞𝐜𝐢𝐩𝐚𝐧𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢 𝐟𝐚𝐦𝐨𝐬𝐢. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐧𝐚𝐬𝐜𝐨𝐧𝐨 𝐝𝐢 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐨 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐢 𝐞𝐯𝐞𝐧𝐭𝐢?
– Questi eventi partono da lontano. Come ho già sottolineato quando ero assessore verso la fine degli anni novanta pensammo alla manifestazione “Il fiume e la memoria” di cui era direttore artistico Milo Vallone, ma poi organizzai nel 2003 quale assessore alla cultura del Comune di Sant’Eufemia a Maiella l’evento “Maiella moon festival” e poi, quale Presidente dell’associazione Roccacaramanico organizzammo tre edizioni della notte bianca del borgo medioevale e negli ultimi quattro anni ho organizzato con l’associazione “Pescaratutela”, di cui sono Presidente, cinque edizioni dell’evento “Accendiamo il Medioevo”. In mezzo a tutto ciò, da dieci anni sono responsabile della gestione dell’Aurum. Ecco, diciamo che il mio impegno è teso a movimentare il nostro territorio intorno al proprio patrimonio culturale, enogastronomico e paesaggistico.
• 𝐍𝐨𝐧 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢𝐚 𝐢𝐥 𝐜𝐚𝐬𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞𝐢 𝐟𝐚𝐜𝐜𝐢𝐚 𝐧𝐨𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐦𝐦𝐢𝐧𝐢𝐬𝐭𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐚𝐥𝐢 𝐥’𝐨𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐮𝐧𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐜𝐞𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐠𝐫𝐚𝐭𝐮𝐢𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐩𝐚𝐳𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐚𝐭𝐭𝐢𝐯𝐢𝐭𝐚̀ 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐢 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐟𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐢 𝐩𝐫𝐢𝐯𝐚𝐭𝐢?
– La colpa non è delle amministrazioni comunali, ma delle leggi che hanno alterato gli equilibri gestionali degli Enti Locali. Le cosiddette “Leggi Bassanini”, che hanno spostato l’asse gestionale totalmente nelle mani dell’apparato burocratico-amministrativo, hanno commesso un crimine. Inizialmente, appena dopo la vicenda tangentopoli, i provvedimenti di rigida separazione dei poteri tra politica e burocrazia, potevano anche essere condivisi, ma purtroppo senza fare i conti con la “burocrazia” che cerca sempre di implementare la propria esistenza. E così oggi sono i dirigenti e i funzionari che fanno “funzionare” la pubblica amministrazione. Io ormai consiglio,per esempio soprattutto ai tanti autori desiderosi di presentare i libri, di individuare spazi privati. Non è possibile ricevere gratuitamente uno spazio da un Ente per presentare un libro e poi è proibito vendere le copie. E per quale motivo presentiamo i libri? Per farci belli? E allora l’amministrazione comunale perde la fondamentale capacità di essere promotrice della cultura. Questo è un atto molto grave di cui è responsabile l’apparato burocratico-amministrativo: la morte del ruolo dell’Ente quale promotore culturale. Considerando che gli Enti non hanno più risorse per le attività prettamente culturali, da non confondere con i “grandi eventi”, siamo destinati ad una morte certa della cultura del territorio.
• 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐢 𝐬𝐩𝐢𝐞𝐠𝐚 𝐢𝐥 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 “𝐅𝐨𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐂𝐮𝐨𝐫𝐞”?
– Penso che molto dipenda dal giovane Gabriele De Marinis, protagonista insieme ad Antonietta
Franceschini della storia d’amore durante la prima guerra mondiale, in quanto nipote di Gabriele D’Annunzio, ovvero figlio della sorella Anna. Tra l’altro il Vate gli fece anche da padrino di battesimo. “Fronte del cuore” è un romanzo storico ambientato durante la prima guerra mondiale e si articola intorno ad una serie di lettere tra i due giovani di cui ho parlato. I due giovani, innamorati, hanno una relazione epistolare ed è proprio intorno a circa cento lettere che è costruito il romanzo che si basa anche su vicende, ambientazioni e sensazioni vere, reali. Queste lettere mi furono date da Antonio Di Loreto e oggi sono conservate nel Museo delle lettere dell’amore di Torrevecchia Teatina, concesse dalla moglie di Renato D’Amario, grande collezionista di materiale fotografico e di documenti.
Ovviamente nella narrazione risaltano le vicende locali, le vicende del fronte e gli aspetti legati ai momenti bellici con, in primo piano, Cadorna, Diaz, Badoglio e lo zio Gabriele D’Annunzio, tra l’altro anche padrino di Battesimo del nipote. Le lettere vanno dal luglio 1917 al dicembre del 1919, quando il giovane torna in licenza per vivere finalmente con tranquillità la storia d’amore. Ma non sarà così.
• 𝐏𝐮𝐨̀ 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐬’𝐞̀ 𝐥𝐚 𝐒𝐞𝐭𝐭𝐞𝐦𝐛𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐝’𝐀𝐛𝐫𝐮𝐳𝐳𝐨?
– Dopo gli eventi dello scorso anno, in occasione dei 70 anni di vita, si rinnova anche questo anno la tradizione di Pescara Colli. Dai primi anni di vita, la Settembrata si è sempre identificata con i Colli, nella valorizzazione del Patrimonio culturale e della tradizione musicale, poetica e teatrale della nostra regione.
Uno degli aspetti più importanti è la valorizzazione della poesia dialettale che è da sempre centrale nella vita dell’associazione. La Settembrata è entrata a far parte del comune sentire della nostra regione, ma ora l’obiettivo non può essere quello semplicemente di ripercorrere le strade che ne hanno innalzato il valore, ma andare oltre, occorre aprirsi al mondo globalizzato, ai tanti giovani che vivono nuove esperienze di conoscenza e valorizzazione della cultura popolare e dialettale e, ovviamente, ai nuovi mezzi della comunicazione, sempre in sintonia con quanto affermava Tolstoj: “Se vuoi essere universale, parla del tuo villaggio”, e la Settembrata nell’epoca della globalizzazione parlerà sempre di più e sempre meglio del proprio villaggio e della cultura del proprio villaggio.
Quest’anno la Settembrata si terrà, dunque, nel cortile del Convento della Madonna dei Sette Dolori e non, come tradizione, nella Piazza, per i problemi dovuti alle Bassanini!
• 𝐄̀ 𝐩𝐫𝐨𝐬𝐬𝐢𝐦𝐚 𝐥’𝐮𝐬𝐜𝐢𝐭𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨?
– Intanto devo continuare a promuovere i due pubblicati da poco tempo, e cioè oltre a “Fronte del cuore” anche “La cucina pescarese nel tempo” e poi fra un anno e mezzo circa pubblicherò “Pescara nel Novecento”, in quanto con “La Grande storia – Pescara Castellamare dalle origini al XX secolo”, mi sono fermato alla fusione delle due città del 1927. Con questa nuova pubblicazione affronteremo i temi legati alla nuova città e alla nuova provincia nati nel 1927, al fascismo, alla guerra, alla ricostruzione e al boom economico fino al 1993, quando ebbe fine la cosiddetta Prima Repubblica.
• 𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚?
– Ai reduci della Democrazia Cristiana, consigliando di non essere più combattenti per una causa, quella della rinascita dello scudocrociato, oggi fuori dalla storia.