Intervista a Lucia Vaccarella

🔶 𝐋’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐌𝐚𝐫𝐭𝐞𝐝𝐢̀
𝗟𝘂𝗰𝗶𝗮 𝗩𝗮𝗰𝗰𝗮𝗿𝗲𝗹𝗹𝗮
𝑎 𝑐𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑛𝑖 𝐹𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑖
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▪️𝐅𝐢𝐧𝐚𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞̀ 𝐮𝐬𝐜𝐢𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨! 𝐃𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐫𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐢 𝐆𝐞𝐥𝐚𝐭𝐢 𝐋𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐚𝐫𝐢 𝐢𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐧𝐭𝐨̀ “𝐋𝐚 𝐁𝐞𝐬𝐚” 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐢 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐢 𝐚𝐧𝐧𝐢. 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐜𝐨𝐬𝐢̀ 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨?
– Vero, è passato molto tempo, ma non dimentichiamo che nel frattempo ci sono stati anni terribili come quelli del Covid che ci hanno letteralmente paralizzato. E poi, ci sono i tempi dell’editore da rispettare. Fra l’altro non ho mai pensato che sia necessario, per chi scrive, rispettare scadenze precostituite fra una pubblicazione e l’altra. Si scrive quando si ha qualcosa da dire, si pubblica di conseguenza. Sono al di fuori di queste logiche che a mio avviso producono spesso solo brutti risultati. Pubblicare per pubblicare no
▪️ 𝐂𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨 𝐡𝐚 𝐝𝐢 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐞𝐫𝐚𝐭𝐚?
– La prima presentazione di un proprio lavoro è sempre emozionante. Ci si sente inevitabilmente sotto esame. Ho un ricordo molto bello di quella serata ma anche delle altre presentazioni che sono seguite, ognuna in fondo è la “prima volta” perché cambiano luoghi e pubblico. Di tutte queste occasioni mi porto dentro la bella sensazione dell’accoglienza.
▪️𝐐𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐨𝐭𝐭𝐞𝐧𝐮𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐁𝐞𝐬𝐚 𝐚 𝐥𝐞𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐠𝐫𝐚𝐝𝐢𝐭𝐨?
– Il riconoscimento più grande è sempre quello del pubblico. Sapere che il tuo libro viaggia e raggiunge luoghi lontani, persone che non si conoscono e si ritrovano in quello che scrivi è sempre consolante. Ricevere attestazioni di stima e/o anche critiche nutrono la voglia di mettersi ancora in gioco e migliorare.
▪️ 𝐋𝐚 𝐁𝐞𝐬𝐚 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐝𝐢 𝐦𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚, 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐨 𝐬𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐨 𝐫𝐢𝐯𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐚𝐥 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐟𝐚𝐦𝐢𝐥𝐢𝐚𝐫𝐞, 𝐫𝐢𝐜𝐜𝐨 𝐝𝐢 𝐭𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞𝐳𝐳𝐚 𝐞 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀, 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐫𝐞 “𝐆𝐥𝐢 𝐨𝐜𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐢 𝐀𝐫𝐠𝐨” 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐦𝐚𝐢? 𝐇𝐚 𝐬𝐩𝐨𝐬𝐚𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐭𝐞𝐬𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐨𝐫 𝐁𝐫𝐮𝐧𝐨 𝐍𝐚𝐜𝐜𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐟𝐟𝐞𝐫𝐦𝐚 “𝐢 𝐛𝐫𝐞𝐯𝐢 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢 𝐬𝐢 𝐥𝐞𝐠𝐠𝐨𝐧𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐟𝐚𝐜𝐢𝐥𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐬𝐢 𝐯𝐚 𝐚 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨?”
– Il professor Nacci che considero il mio Mentore e a cui devo infinita gratitudine per aver avuto per primo fiducia nelle mie capacità di scrittrice è sicuramente un punto di riferimento, ma non ha mai condizionato o indirizzato le mie scelte. In realtà amo i racconti da sempre e trovo che costituiscano un genere troppo poco apprezzato in Italia pur avendo Maestri di grossa levatura. Da ragazzina ero un’accanita lettrice dei racconti de Le mille e una notte e di quelli di Edgar Allan Poe, come studentessa ho imparato ad amare i racconti della grande tradizione italiana, dalle novelle di Boccaccio a quelle di Verga e Pirandello, per poi accostarmi ai racconti di Tommaso Landolfi, Moravia, Svevo etc, ma in particolare a quelli di Dino Buzzati su cui ho svolto la mia tesi di laurea. Vogliamo allora parlare di imprinting? Ancora oggi ho sul comodino La boutique del mistero, Le notti difficili accanto ai racconti bellissimi di Parise, a quelli meravigliosi sul Male di Nacci e a Le Voci mute di Fiorella Borin – amica cara e mio insostituibile coach – poi quelli stranieri, dai classici come Checov , la Wolf, a quelli americani come Carver, Berlin , O’Connor etc. All’estero il genere del racconto, ripeto, è molto più apprezzato che da noi.
▪️𝐃𝐮𝐞 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐢 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐢 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚𝐭𝐢𝐯𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚𝐭𝐢 𝐚𝐥 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐌𝐞𝐦𝐨𝐫𝐢𝐚 𝐞 𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐑𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐨. 𝐂𝐨𝐦𝐞 𝐦𝐚𝐢?
– Non ho mai amato le ideologie manicheiste che dividono le categorie di Bene e Male facendole coincidere con vincitori e vinti. Bene e male sono presenti in entrambi, perché luce e ombra sono in ciascuno di noi esseri umani, capaci di grandi e ignobili imprese. E ho sempre insegnato ai miei alunni a ragionare con la loro testa, a formarsi uno spirito critico, ad indagare in autonomia, anche perché gli stessi manuali scolastici sono di parte. Il genocidio degli ebrei costituisce una pagina tremenda, al pari della tragedia delle foibe e dell’esodo che ha riguardato tanti italiani e che tanti italiani ignorano ancora. A chi dice che non sono paragonabili rispondo che il male è male sempre e chi uccide un uomo uccide l’universo intero. Il compito della Storia dovrebbe essere proprio quello di indagare con imparzialità, non riserbare zone d’ombra alle aberrazioni della guerra. Diceva Shakespeare che tutta la terra del mondo non basterebbe a impedire alla verità di venire in superficie. Credo debba essere così e che oggi soprattutto sia necessario il superamento di barriere ideologiche, che ahimè sopravvivono, per creare un’unica coscienza condivisa. Ma siamo lontanissimi da questa speranza: le guerre di oggi nelle varie parti del mondo ci dicono che nulla è cambiato, forse è l’uomo stesso l’infezione del mondo. Proprio per questo bisogna mostrare la ferita del male, ovunque essa sia, e ancora ancora, e sempre, per tentare di trovare una cura.
▪️ 𝐈𝐥 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐨 𝐭𝐫𝐚𝐝𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐥’𝐡𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐝𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨, 𝐢𝐥 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐧𝐨, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́?
– Lei si riferisce ovviamente a un mio racconto. Ma io non spoilero… Posso solo dire che errare est humanum, perseverare diabolicum.
▪️ ‘𝐁𝐮𝐢𝐨” 𝐞̀ 𝐥𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐨𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧 𝐜𝐮𝐢 𝐭𝐞𝐫𝐦𝐢𝐧𝐚 𝐢𝐥 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐨 ‘𝐏𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨’. 𝐄̀ 𝐫𝐢𝐟𝐞𝐫𝐢𝐭𝐨 𝐚𝐥 𝐥𝐚𝐦𝐩𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐬𝐩𝐞𝐠𝐧𝐞 𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐢 𝐯𝐚 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨?
– Contenta che questa parola l’abbia colpita. Vuol dire che il racconto ha smosso qualcosa. Ma il racconto vuole perseguire proprio questo intento: aprire una finestra, poi chiuderla. Al lettore immaginare…
▪️𝐀 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐨 𝐞̀ 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐚𝐟𝐟𝐞𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨?
– Non ce n’è uno in particolare. Tutti mi sono ugualmente cari perché nascono da momenti importanti e unici. Sono tutti figli di un’unica mente, piccoli squarci sul mondo.
▪️𝐋’𝐢𝐫𝐨𝐧𝐢𝐚 𝐟𝐚 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐜𝐚𝐫𝐚𝐭𝐭𝐞𝐫𝐞?
– Da sempre. È una cifra della mia famiglia, la trovo salvifica anche negli inevitabili momenti bui della vita anche se il rischio che si scivoli nel sarcasmo è sempre in agguato. E c’è una bella differenza, di fondo la differenza che intercorre tra la serena accettazione degli altri e il rancore per l’umanità. Spero di non diventarlo mai, sarcastica.
▪️ 𝐇𝐚 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐚𝐥𝐠𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐜𝐮𝐨𝐥𝐚?
– Ho nostalgia dei ragazzi, quello sì, della scuola come istituzione ormai alla deriva, no. Ammiro molto i giovani che si accostano a questa professione con entusiasmo. Hanno pareti ripide da scalare davanti a sé, ma è solo chi crede a questo lavoro che può creare il cambiamento.
▪️ 𝐀𝐥𝐝𝐚 𝐌𝐞𝐫𝐢𝐧𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐚𝐦𝐚𝐯𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞 𝐦𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐟𝐞𝐫𝐢𝐯𝐚 𝐬𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐧𝐨𝐧 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐥’𝐚𝐯𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞𝐫𝐨 𝐢𝐧𝐟𝐚𝐬𝐭𝐢𝐝𝐢𝐭𝐚. 𝐐𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞? 𝐄̀ 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐦𝐚 𝐥𝐞𝐢 𝐨 𝐞̀ 𝐥𝐞𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐦𝐚 𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞?
– Sì, non sono una persona sola in termine di affetti, ma solitaria sì. Mi annoiano le situazioni e le occasioni di superficialità, le persone continuamente appese a parole inutili. Preferisco starmene per conto mio e osservare. Questo non vuol dire che sono asociale, però. Al di là dei miei punti di riferimento amicali, mi capita spesso di intrattenermi in piacevoli conversazioni con persone incontrate per caso, in circostanze diverse. A una mostra davanti a un quadro, sul treno, in uno stabilimento balneare. Ieri, per esempio, al cinema ho avuto un amabile scambio di idee con una coppia seduta vicino a me. A naso ci siamo “riconosciuti” come persone che avevano un quid in comune: è stato un momento prezioso.
▪️ 𝐏𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐜𝐭𝐢𝐨𝐧 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐅𝐞𝐫𝐢𝐥𝐥𝐢 “𝐆𝐥𝐨𝐫𝐢𝐚” 𝐧𝐨𝐧 𝐥𝐞 𝐞̀ 𝐩𝐢𝐚𝐜𝐢𝐮𝐭𝐚?
– Perché è lo specchio di tempi beceri, sguaiati, dai falsi valori. Rimpiango la tv di qualità di una volta che faceva cultura anche con gli sceneggiati.
▪️𝐄𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐨 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐢 𝐨𝐠𝐠𝐢 𝐡𝐚 𝐬𝐞𝐧𝐬𝐨?
– Avrà sempre senso, finché esisterà l’umanità.
▪️ 𝐋”𝐢𝐧𝐝𝐢𝐟𝐟𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐞 𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐩𝐞𝐫𝐟𝐢𝐜𝐢𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐢 𝐦𝐚𝐥𝐢 𝐩𝐫𝐞𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐨𝐜𝐢𝐞𝐭𝐚̀ 𝐚𝐭𝐭𝐮𝐚𝐥𝐞?
– Ogni tempo rimpiange quello passato, dall’età dei nostri Padri greci. È inevitabile. E le piaghe rimproverate al presente sono sempre le stesse. In realtà l’uomo è da sempre lo stesso…dell’oggi l’unica cosa che temo davvero è l’Intelligenza artificiale che può essere malamente usata. Diciamo che auspicherei un rafforzamento dell’Umanesimo per contrastare gli stessi limiti umani.
▪️𝐂’𝐞̀ 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐱 𝐚𝐥𝐮𝐧𝐧𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥’𝐡𝐚 𝐬𝐨𝐫𝐩𝐫𝐞𝐬𝐚 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐢𝐥 𝐫𝐮𝐨𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐯𝐨𝐥𝐠𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐨𝐠𝐠𝐢?
– Devo dire onestamente che non mi sorprendono mai le posizioni di prestigio che molti di loro hanno saputo conquistarsi. Ho ex alunni che vivono dappertutto nel mondo e si sono fatti strada. Non me ne stupisco sia quando “in nuce” mostravano già delle grandi potenzialità sia quando apparivano riottosi nei confronti della scuola. Ho sempre avuto una grande capacità empatica nei loro confronti e spesso mi sono ritrovata a pensare che gli studi intrapresi dai miei ragazzi erano semplicemente quelli sbagliati, e che, trovata la strada della loro passione, avrebbe comunque dato buoni frutti… devo dire che raramente mi sono sbagliata. Proprio ultimamente ho avuto una lunga chiacchierata con un alunno che si è diplomato per il rotto della cuffia, eppure oggi avviato ad una brillante carriera di compositore musicale. A volte è la stessa famiglia che soffoca i talenti dei figli e li costringe, sia pure in buona fede, a scelte obbligate e sbagliate. Se sono abbastanza forti di loro o quando – fragili come sono quasi tutti i ragazzi nell’adolescenza – trovano in anni focali per la costruzione del sé persone che comunque li capiscono e danno fiducia, poi volano. Ecco perché la mia professione è delicata e importante: una nostra parola può affossare per sempre o salvare. Piuttosto, mi stupisco e mi addoloro se so di ragazzi eccezionali a scuola che poi nella vita reale non si sono realizzati secondo le aspettative: ma qui entrano in gioco tanti fattori, congiunture negative, casi sfavorevoli che si susseguono e li inchiodano ad un futuro diverso da quello sognato… Mi chiedo spesso se tante volte il caso non sia frutto di un destino predeterminato e me ne tormento.
▪️ 𝐂𝐨𝐬𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐦𝐢𝐠𝐥𝐢𝐨𝐫𝐚𝐫𝐞 𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚𝐧𝐢?
– Riporterei l’orologio della Storia indietro di 60/70 anni, ma forse sono solo una nostalgica. E comunque, per inguaribile ottimismo, confido nelle teorie vichiane: dopo la barbarie tornerà la civiltà
▪️ 𝐐𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐥’𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐟𝐢𝐥𝐦 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐯𝐢𝐬𝐭𝐨?
– La donna del tenente francese in tv, Estranei al cinema, un capolavoro. Sono un’appassionata cinefila. Il cinema è una grande forma d’arte e come tale fa bene al cuore e nutre la mente.
▪️ 𝐇𝐚 𝐦𝐚𝐢 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐨𝐞𝐬𝐢𝐞?
– Come tutti, credo, da ragazza. Ma fare poesia è una cosa seria, richiede umiltà e un duro lavoro di apprendistato, tanta tanta lettura di poeti e conoscenza della metrica (anche se oggi nessuno la segue. Ma lo stesso Ungaretti prima di liberarsene l’aveva studiata con cura e “M’illumino d’immenso” è un perfetto settenario). Attualmente mi pare ci sia troppa improvvisazione. No, la poesia mi piace ovviamente, ma preferisco…i racconti. Più congeniali.
▪️ 𝐀 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐩𝐨𝐞𝐭𝐚 𝐞̀ 𝐥𝐞𝐠𝐚𝐭𝐚?
– Sicuramente Montale con cui il processo di perdita di ruolo della poesia raggiunge l’acme e i cui versi hanno comunque un potente significato politico nell’accezione più ampia del termine, quella aristotelica, intendo. Tutta l’autentica poesia successiva gli è debitrice.
▪️𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚?
– Ai miei genitori, perché parafrasando Montale non so ancora chi fra noi è partito e chi è restato.

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