Intervista a Claudia Grande

𝐋’𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐭𝐞𝐝𝐢̀
𝗖𝗹𝗮𝘂𝗱𝗶𝗮 𝗚𝗿𝗮𝗻𝗱𝗲
𝐁𝐢𝐦 𝐁𝐮𝐦 𝐁𝐚𝐦 𝐊𝐞𝐭𝐚𝐦𝐢𝐧𝐚,
ilSaggiatore
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𝑎 𝑐𝑢𝑟𝑎 𝑑𝑖 𝑇𝑜𝑛𝑖 𝐹𝑎𝑔𝑛𝑎𝑛𝑖
▪️𝐔𝐧 𝐚𝐯𝐯𝐨𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐧𝐭𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐫𝐢𝐜𝐞! 𝐂𝐢 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐫𝐚𝐜𝐜𝐨𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐦𝐞𝐭𝐚𝐦𝐨𝐫𝐟𝐨𝐬𝐢?
– In effetti è un cambiamento che ha stravolto totalmente il mio percorso. Ho scelto di seguire la strada della professione forense perché l’avvocatura mi sembrava un ottimo sbocco lavorativo; d’altra parte, ciò che ho sempre amato non è il diritto, ma l’arte della narrazione in ogni sua forma: cinema, musica, serie tv, fumetti, giochi di ruolo; soprattutto, letteratura. Ero un’accanita lettrice sin da bambina, quando divoravo i libri di Roald Dahl, Gianni Rodari e J.K. Rowling; e proprio i libri mi hanno accompagnato nell’arco di una vita, spingendomi a lasciare l’avvocatura e a iscrivermi alla Scuola Holden.
Più esplicitamente: la scrittura è sempre stata la mia vera passione, e un giorno non ho più potuto fingere che non fosse così. L’avvocatura non mi gratificava perché sentivo che non era ciò che volevo fare, che toglieva spazio alla “vera me” e mi imbrigliava in una posizione in cui non mi riconoscevo affatto. In un primo momento, la scelta di abbandonare lo studio legale mi ha destabilizzato a livello lavorativo e personale; poi, col passare del tempo, mi ha aiutato a comprendere che solo la creatività può farmi sentire completa e realizzata – come persona prima che come professionista.
Forte di questa consapevolezza, presso la Scuola Holden ho seguito un master biennale atto all’approfondimento delle più varie tecniche di scrittura, sceneggiatura e storytelling; e proprio in questo periodo ho iniziato a scrivere il mio primo romanzo, Bim Bum Bam Ketamina, che è stato pubblicato dal Saggiatore nel 2023. Alla Scuola Holden ho imparato anche le basi del copywriting, professione che oggi svolgo presso Rai Pubblicità.
Vorrei aggiungere solo una cosa: nel 2019, mentre studiavo alla Scuola Holden, ho conseguito il titolo di avvocato. Ho proseguito per un po’ in parallelo il cammino su due tracciati diversi, indecisa sul da farsi, sebbene oggi sappia con certezza quale dei due mi rappresenta e definisce. Voglio ringraziare i miei genitori per avermi sostenuto, emotivamente ed economicamente, nel momento in cui ho sentito l’esigenza di cambiare rotta. Molte persone non hanno la fortuna di avere una famiglia che possa farsi carico di una scelta simile; quindi, so quanto devo a mia madre e mio padre. Per me ci sono sempre stati.
▪️𝐒𝐞 𝐥𝐞 𝐝𝐢𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐥 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐜𝐫𝐢𝐭𝐭𝐨 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐭𝐢𝐜𝐨, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐫𝐞𝐚𝐠𝐢𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞?
– Ne sarei estremamente lusingata. È quello che ho pensato leggendo le opere di autori e autrici che, per me, hanno saputo dare voce alla loro epoca e anche a quello che sarebbe venuto dopo. Per citare qualche titolo: La scopa del sistema, di David Foster Wallace; Superwoobinda, di Aldo Nove; Il corpo che vuoi, di Alexandra Kleeman. Io non mi ritengo così geniale e lungimirante; ma, se sono riuscita a ispirare riflessioni sul nostro presente e addirittura sul futuro con quello che ho scritto, non posso che esserne felice.
▪️𝐑𝐨𝐛𝐞𝐫𝐭𝐨 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐮𝐨𝐦𝐨 𝐬𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐚𝐦𝐛𝐢𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐧𝐨 𝐚𝐥 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐥 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐬𝐢 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐚. 𝐄̀ 𝐮𝐧 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐠𝐠𝐢𝐨 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐞 𝐨 𝐢𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐚𝐫𝐢𝐨?
– Roberto è stata la prima persona che ho conosciuto a Torino: nel 2017, quando mi sono trasferita alla Scuola Holden, mi sono imbattuta in uno dei suoi volantini. Trattasi di un tuttofare piemontese che si è autodefinito “Uomo in Affitto” proprio in questi volantini, e che si offre di fare principalmente piccoli lavori domestici a prezzi modici. Il 2017 è stato anche l’anno in cui ho iniziato a scrivere 𝐁𝐢𝐦 𝐁𝐮𝐦 𝐁𝐚𝐦 𝐊𝐞𝐭𝐚𝐦𝐢𝐧𝐚. Non sapevo che Roberto ne avrebbe fatto parte. Quando ho terminato la prima stesura, avevo davanti un arcipelago di storie: un raggruppamento di racconti vicini per temi, immaginario, stile, caratteristiche che aspettavano di essere riconosciuti, tenuti insieme da un unico sguardo. Era il 2021. I miei editor mi hanno suggerito di trovare un filo rosso che inanellasse tutti i testi, ed ecco che ho capito che Roberto avrebbe aggiunto un altro mestiere all’elenco: il narratore. Il centro sfuggente di un caleidoscopico arcipelago di storie folli.
▪️𝐄̀ 𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐨𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐥𝐞𝐢 𝐞𝐬𝐜𝐞 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐜𝐡𝐞𝐦𝐢 𝐚𝐛𝐢𝐭𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞?
– Diciamo che uno dei filoni letterari che in Italia vende di più è il classico romanzo di formazione ambientato in questa o quella città/provincia, con al centro un dramma familiare, un’amicizia indissolubile, un grande amore. Per fare un esempio: L’amica geniale. Personalmente lo trovo un filone abusato, oltre che pericolosamente lontano dalla realtà attuale: ci dipingiamo ancora con immagini talmente masticate, viste e riviste, da essere diventate rassicuranti. Per me la letteratura non deve rassicurare. Deve suscitare inquietudine e dubbio, come sosteneva Kafka; e, perché no, un po’ di sana paura. La paura, per Ligotti, è una delle emozioni che più ci aiutano a conoscere noi stessi, e io sono d’accordo. Quando qualcosa mi spaventa o mi angoscia, so per certo che ha senso scriverne. Scrivere è un sacrificio di sangue, parafrasando Céline; se non c’è una ferita suppurante di dolore alla base di quello che facciamo, non c’è arte.
La ferita che ho dentro è condivisa dalla tutta la generazione dei Millennial, vessata dall’incertezza e dalla crisi. Mi spiego meglio: viviamo in un’epoca di catastrofi di portata globale (es. guerre, pandemia, inflazione, disoccupazione, crisi climatica…) che rendono impossibile ponderare il futuro, difficile decifrare il presente e ancor più difficile per noi giovani trovare un posto nella società. All’incertezza data da ciò che accade intorno a noi, si aggiunge quella generata dalla tecnologia: mi riferisco al proliferare di fake news sul web, alle AI capaci di creare contenuti falsi, alla narrazione straniante e straniata dei social. Il confine tra realtà e finzione è sempre meno evidente, per noi: ecco perché credo che siano il surreale, il grottesco, il pulp, il fantastico i generi più adatti a restituirci il vero, anche se non sono i generi che vanno per la maggiore in Italia. Faccio un esempio: quando il pubblico italiano vuole leggere pulp, compra Chuck Palahniuk, non la letteratura Cannibale – filone italiano che pure ebbe molto successo negli anni ’90. Sotto questo aspetto, il mio libro è un azzardo: esplora generi che oggi non ricevono molta attenzione, anche se soprattutto le case editrici indipendenti stanno facendo un gran lavoro per riportarli in auge.
Oltre a questo, il mio libro è un romanzo di racconti, una struttura poco usata nella narrativa italiana perché non molto apprezzata dal pubblico. A me, però, serviva andare “controcorrente” per esprimere quello che sentivo: in un presente in cui siamo iperstimolati da una bulimia di contenuti e informazioni, il modo migliore per raccontare quello che viviamo mi sembrava adottare una struttura frammentata, non lineare, come è quella del romanzo di racconti. In un certo senso, l’effetto che volevo dare è proprio quello del feed di Instagram: è come se Roberto passasse da un profilo all’altro, da una pagina all’altra, da una vita ad un’altra, cambiando profilo/personaggio non appena gli viene a noia. Al di là delle mie motivazioni autoriali, è vero che In Italia si leggono pochi racconti, e puntare su una forma ibrida tra romanzo e racconto come ho fatto io è un ulteriore azzardo. Ringrazio la mia casa editrice per aver osato insieme a me, credendo nel mio progetto e pubblicandolo anche se “fuori dagli schemi”
▪️𝐐𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐨𝐫𝐚 𝐠𝐥𝐢 𝐨𝐛𝐢𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐢 𝐚𝐢 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢 𝐭𝐞𝐧𝐝𝐞 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨?
– In parte ne ho parlato sopra: raccontare il nostro presente e le grandi “ferite” della mia generazione, quella dei Millennial. Per altra parte, volevo restituire il senso di frustrazione, rabbia, impotenza generato dalla nostra società – capitalista, consumista, cieca e vorace. Non c’è niente di più falso della retorica capitalista. Non c’è niente di più vero del dolore, dell’ansia, della depressione verso cui questo sistema ci sprofonda. Io volevo raccontare quanto questa gabbia sociale, economica e culturale ci stia togliendo, conducendoci alla pazzia. Mi rendo conto che siano obiettivi ambiziosi, che dire così tanto è impossibile; ma volevo provarci, pur consapevole che riuscirci poteva essere al di fuori della mia portata.
▪️𝐋’𝐮𝐨𝐦𝐨 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐬𝐭𝐨𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐫𝐢𝐞𝐬𝐜𝐞 𝐚 𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐨 𝐭𝐞𝐧𝐝𝐞 𝐚 𝐬𝐨𝐩𝐫𝐚𝐟𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢?
– Rispondo citando La scopa del sistema, in assoluto il mio libro preferito: attraverso le sofferenze di Lenore, la protagonista, David Foster Wallace esprime quello che sentiva essere il problema più grande della nostra epoca: la paura dell’intimità, di aprirci all’altro, di accoglierlo. Paura di rivelarci senza maschere o filtri; paura di lasciarci conoscere e sentirci rifiutati, , prevaricati, abusati proprio in ragione di ciò che siamo.
Mi permetto di aggiungere che: abbiamo dimenticato la dimensione collettiva in quanto troppo complessa per essere riassunta in categorie comunemente accettate; abbiamo eretto un monolite aureo alla dimensione individuale, prigionieri di un vizio mentale che chiamerei “iper-individualismo”: in queste condizioni, qualunque contatto umano autentico (l’amore, ma anche, banalmente, il dialogo/il confronto costruttivo) diventa difficile o impossibile.
Per fortuna, la letteratura può venirci in aiuto e ristabilire l’empatia che stiamo perdendo. Non lo dico io, ma Wallace, che cito direttamente: “Nei tempi bui, quello che definisce una buona opera d’arte mi sembra che sia la capacità di individuare e fare la respirazione bocca a bocca a quegli elementi di umanità e di magia che ancora sopravvivono ed emettono luce nonostante l’oscurità dei tempi. La buona letteratura può avere una visione del mondo cupa quanto vogliamo, ma troverà sempre un modo sia per raffigurare il mondo, sia per mettere in luce le possibilità di abitarlo in maniera viva e umana”
▪️𝐀 𝐏𝐞𝐬𝐜𝐚𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐞̀ 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐜𝐜𝐨𝐥𝐭𝐨 𝐢𝐥 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨?
– Bene, anche se nonna temeva fosse autobiografico (le abbiamo spiegato che non è così, ma non so se l’abbiamo convinta).
▪️𝐓𝐫𝐚 𝐢 𝐠𝐢𝐮𝐝𝐢𝐳𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐡𝐚 𝐝𝐚𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐬𝐨𝐝𝐝𝐢𝐬𝐟𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐞 𝐡𝐚 𝐝𝐚𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐟𝐚𝐬𝐭𝐢𝐝𝐢𝐨?
– Quello che mi ha dato più soddisfazione è quello de I RifLettori, gruppo di lettura composto da ragazzi tra i 16 e i 18 anni della città di Torino e provincia. Sono entrata in contatto con loro al Salone del Libro, e il fatto che il mio romanzo sia stato apprezzato e capito da menti così giovani, brillanti, fresche, da occhi così vivi e presenti, mi ha emozionato tantissimo: credo molto nelle nuove generazioni, e sono davvero convinta che saranno loro a rendere questo mondo un posto migliore. Ecco perché aver ricevuto la loro attenzione e il loro sostegno è stato per me un dono prezioso.
Tra i giudizi negativi, nessuno mi ha dato fastidio: i giudizi negativi ben argomentati, strutturati e logici mi hanno permesso di capire quali sono le mie carenze come autrice, in che ambiti posso (devo!) migliorare e crescere – quindi, sono stati per me preziosi quanto gli apprezzamenti positivi; i giudizi negativi fondati solo sull’insulto, invece, non li tengo in conto. Me ne sono capitati alcuni su Amazon oppure in qualche commento sui social. In un primo momento, ne sono rimasta ferita; poi, ho capito che non dovevo lasciarmene condizionare. Gli insulti sono parole vuote, esattamente come sono vuote le persone che li pronunciano.
▪️𝐂’𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐢𝐧𝐜𝐨𝐦𝐢𝐧𝐜𝐢𝐚𝐭𝐨 𝐚 𝐥𝐞𝐠𝐠𝐞𝐫𝐞 𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐫𝐢𝐮𝐬𝐜𝐢𝐭𝐨 𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐢𝐫𝐞?
– Ce ne sono diversi, ma non credo sia una cosa negativa. Se un libro non mi piace, lo abbandono senza troppi rimorsi e leggo qualcosa che, invece, possa stimolarmi: la vita è breve e i libri da leggere sono infiniti… non ha senso “ingoiare” quelli che non ci piacciono come fossero una medicina. Qui vorrei fare un appello a chi vorrà leggermi: se non vi piacerò, abbandonatemi pure e passate ad altro; se vi piacerò, restate insieme a me – la vostra attenzione sarà il dono più grande che possiate farmi.
▪️𝐋𝐚 𝐂𝐥𝐚𝐮𝐝𝐢𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐞 𝐞̀ 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐩𝐩𝐚𝐫𝐞 𝐨 𝐞̀ 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚?
– In parte è quella che appare, in parte c’è tanto altro che non rivelo se non alle persone che più amo. Credo che sia un meccanismo naturale, che tutti, chi più e chi meno, ci “mascheriamo” per stare nel sociale, e ci riveliamo solo quando c’è abbastanza fiducia per farlo.
▪️𝐍𝐞𝐥 𝐦𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐞𝐫𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐞𝐫𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐟𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐧𝐞𝐠𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐨 𝐩𝐨𝐬𝐢𝐭𝐢𝐯𝐨?
– Nel mondo letterario non saprei. So che, per me, è un fattore negativo: cambiare idea, contraddirsi, tornare sui propri passi o invertire il senso di marcia non sono azioni ipocrite. Sono evoluzioni, mutamenti di pelle che facciamo per restare al passo con la nostra crescita interiore/personale e con la velocità del mondo. Rimanere uguali a sé stessi significherebbe restare immobili, e per me non c’è niente di peggio della staticità inerte di un lago piatto. Ricordiamoci che l’assenza di movimento è una delle caratteristiche della morte; il movimento, invece, è sinonimo di vita.
▪️𝐄𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐦𝐢𝐬𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨𝐫𝐝𝐢𝐨𝐬𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐥𝐞𝐢 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚?
– Essere empatici. Sapersi mettere nei panni dell’altro, capire le sue motivazioni e il suo dolore e accoglierli, invece di respingerli. L’empatia è difficile, come dicevo prima – forse la cosa più difficile in assoluto da mettere in atto nei rapporti umani, perché significa uscire da sé stessi, vedere oltre il proprio io. Smettere di essere egoriferiti è un esercizio complesso per tutti, ma il risultato paga. L’empatia è il primo passo verso il perdono, e non parlo solo di perdonare l’altro, ma anche di perdonare noi stessi: un altro atto d’amore che richiede tempo, sofferenza e apertura mentale.
▪️𝐍𝐞𝐥 𝐫𝐨𝐦𝐚𝐧𝐳𝐨 𝐜𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐢 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐢𝐫𝐨𝐧𝐢𝐜𝐢. 𝐋𝐞𝐢 𝐚𝐦𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐢𝐧 𝐠𝐢𝐫𝐨?
– Moltissimo. In questo credo di aver preso da papà e da alcuni dei miei autori preferiti. L’autoironia è, per me, una forma di accettazione delle parti di me che sopporto di meno, e anche un modo per vedere i problemi nella giusta prospettiva, senza lasciarmene fagocitare.
▪️𝐂𝐡𝐞 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐧𝐳𝐚 𝐡𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐢 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐧𝐞𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨 𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚?
– Hanno un’importanza centrale: senza sentimenti, i miei personaggi sarebbero piatti e scialbi, e noi come persone saremmo monocordi e incolori. Quand’ero adolescente credevo che i sentimenti ci rendessero deboli, e ho passato anni a reprimerli, cercando di essere il più razionale possibile; poi, ho capito che sono la nostra forza, e che nel loro segreto risiede ciò che più intimamente siamo.
▪️𝐒𝐢 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐯𝐚 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨?
– Per niente. Credevo mi avrebbero letto solo i miei amici più stretti e la mia famiglia. Non sono mai stata una persona ottimista, quando mi si chiedono pronostici penso sempre al peggio. È bello pensare al peggio e avere torto, com’è stato col libro. Sono stata felice di dire a me stessa: ti sbagliavi.
▪️𝐋𝐞𝐢 𝐚𝐦𝐚 𝐚𝐬𝐜𝐨𝐥𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐨 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐬𝐜𝐨𝐥𝐭𝐚𝐭𝐚?
– Sono sincera, preferisco essere ascoltata perché amo molto parlare (per non dire che sono estremamente logorroica); col tempo, ho imparato ad ascoltare. Senza ascolto, non ci possono essere relazioni umane sane e complete – né con gli altri, né con sé stessi; e credo che non ci possa essere neanche l’arte, perché nasce proprio dalla nostra umanità, dall’intimità che siamo in grado di nutrire tramite l’apertura all’altro.
▪️𝐐𝐮𝐚𝐥 𝐞̀ 𝐢𝐥 𝐬𝐮𝐨 𝐫𝐮𝐨𝐥𝐨 𝐢𝐧 𝐑𝐀𝐈?
– Lavoro in Rai Pubblicità, la concessionaria unica per la pubblicità sulla Rai. All’interno di questa azienda del gruppo Rai, ricopro il ruolo di copywriter e content creator.
▪️𝐋𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐞𝐬𝐩𝐞𝐫𝐢𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐧𝐞𝐥 𝐬𝐞𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐢𝐭𝐚𝐫𝐢𝐨 𝐥’𝐡𝐚 𝐟𝐚𝐯𝐨𝐫𝐢𝐭𝐚 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐮𝐥𝐠𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐥𝐢𝐛𝐫𝐨?
– No. In realtà quello che più mi ha favorito è la mia capacità di usare i social media e il linguaggio dei meme: tramite i social, sono riuscita a raggiungere più persone e a far conoscere il mio libro anche a utenti lontani – che, senza il supporto del mondo digitale, non avrei mai intercettato.
▪️𝐀 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐢𝐦𝐦𝐚𝐠𝐢𝐧𝐞 𝐬𝐩𝐢𝐫𝐢𝐭𝐮𝐚𝐥𝐞 𝐞̀ 𝐥𝐞𝐠𝐚𝐭𝐚?
– Alla figura del Matto nei tarocchi: un individuo capace di danzare anche sul ciglio del burrone. Come direbbe Montale: “Dolcezza e orrore in una sola musica”.
▪️𝐀 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐝𝐢𝐜𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐯𝐢𝐬𝐭𝐚?
– Alla mia famiglia: papà Camillo, mamma Filomena e mia sorella Silvia. Grazie a loro, ho capito il significato della parola “casa”; ho potuto amare e ad essere amata; ho iniziato ad ascoltare; ho imparato a vivere.

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